I ciclisti della domenica: concentrato di prepotenza, arroganza e scarsa capacità di immedesimazione nel prossimo

di Andrea Devis

Il fatto che non prendano la bici per tutto il resto della settimana dovrebbe in qualche modo già essere un’indicazione molto chiara. Forse il fatto che la gran parte di loro sia solita muoversi in auto dovrebbe rappresentare un deterrente alla mal gestione che fanno -la domenica, su due ruote- della strada. Essendo sia automobilisti che ciclisti, potrebbero essere in grado di mettersi nei pani sia dell’uno che dell’altro. Invece no. In questa società tutti viviamo con ruoli interscambiabili, ma purtroppo il multitasking non è contemplato. Così, si finisce per guardare solo i propri piedi ignorando chi ci sta dietro (o a fianco, o davanti, o dove vi pare).

Solitamente quando esci di casa la domenica mattina -in auto- guardi sorpreso il sole di un autunno ancora troppo caldo e respiri a pieni polmoni l’aria che sembra improvvisamente meno inquinata e più accomodante per le nostre narici.

Senza preavviso, senza possibilità di replica, arriva uno sciame di vespe incarognite che ronza fastidioso a fianco della testa, ancora rincoglionita e assolutamente impreparata al rientro alla realtà che solo un caffè fumante potrà concederci. Sembrano moltiplicarsi come gremlins e dal lato della strada si spingono sempre più verso il centro, arrivando a impegnare completamente la carreggiata. Parlano tra loro dimenticandosi della società, ridono, spensierati, senza rendersi conto di ciò che sono in realtà: un tappo. Così, la domenica, nota da secoli come momento di scorrevolezza stradale, diventa una lunga, impercorribile, corsia congestionata.

La capacità di immedesimazione nel prossimo -che spesso non è altro che una proiezione di noi stessi in un momento diverso da quello che stiamo vivendo- ci salverebbe da tanti disastri e -a parer mio- renderebbe più scorrevole il traffico. Quello stradale, ma soprattutto quello della vita.