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Tutto il resto… è pornografia

Cosa conta davvero quando qualcuno ti fa battere il cuore e sbattere gli occhi? Quando -quelle poche volte nella vita- smarrisci piacevolmente la via della razionalità, che cosa fa la differenza? I canoni, i profili, i gusti, le inclinazioni, i dettagli, le preferenze, i requisiti, le scelte aprioristiche… quanto incidono?

Forse vale tutto.

Non ci si innamora di un paio di occhi verdi, non ci si innamora di due belle tette, non ci si innamora di due spalle larghe, non ci si innamora di una chioma bionda e non ci si innamora di un profilo greco. Ci si innamora di chi ti fa stare bene.

Tutto il resto… è pornografia.

Recidivismi Relativi Recisi

Cadono le foglie, finalmente. Si puliscono giardini e si tagliano rami secchi.

Tra qualche mese un timido raggio di sole farà la sua comparsa, e noi, pronti a sorprenderci, saremo in prima fila ad assistere alla nascita dei nuovi boccioli: tremendamente somiglianti a quelli dell’anno prima, che a loro volta ricordavano in maniera impressionante quelli dell’anno prima ancora e così via, in un perverso meccanismo nel quale ormai ci si rinnova consolidando uno schema fin troppo prevedibile.

È inutile recidere, tanto non si cambia quasi mai, e quando succede certamente non dipende solo da noi. La verità sta nel mezzo; ma nel mezzo di che cosa? Forse dell’oceano Indiano? Nel mezzo di una irraggiungibile crosta terrestre? O magari nel mezzo -di trasporto- con il quale latitiamo tra le relazioni? Potrebbe anche trattarsi di un imperdonabile errore di forma. Se la verità stesse quindi nel mazzo? Nel mazzo di cazzate che a fasi alterne ci ripetiamo, tipo: “sono una persona nuova”, “ho imparato dai miei errori”, “ho smesso di farmi del male”? Tanto poi siamo noi i primi a non crederci e ad avere la consapevolezza dell’esistenza concreta delle ricadute.

A ognuno il suo: chi ha il debole per il caso umano, chi per la nevrotica esaurita, chi per il morto di fame, chi per la bella stronza e chi per il bello e impossibile con gli occhi neri e quel sapor medio-orientale.

Rassegniamoci al recidivismo relativo senza illuderci che recidendo -al primo timido raggio di sole- lo stelo di una margherita possa partorire rose rosse: inaspettatamente sorprendenti e rigorosamente senza spine.

TE + ME = IO³

L’orologio segna un’ora troppo strana per restare a letto, eppure sono lì, immobile, a osservare le luci delle macchine illuminare a intermittenza le feritoie della tapparella. Ascolto in lontananza il rumore dei tram sulle rotaie, in un alternarsi di discese e salite di persone dirette chissà dove. Nella Milano che non riposa mai, due braccia mi stringono, e mentre dimentico a chi appartengono mi lascio andare a pensieri e riflessioni su me stesso e “gli altri” – entità astratta con la quale relazionarsi. Non so dove mi trovo, non ho più idea di che ore siano e non so nemmeno con certezza se si tratti della mia adolescenza o se ho già compiuto sessant’anni. Abbandono il corpo e mi osservo da fuori, ritrovando sul viso i segni di una stanchezza che non si chiama vecchiaia.

Che sia tutta una questione di somme, sottrazioni, potenze ed esponenti con risultati elevati alla seconda? Si intrecciano rapporti, si sciolgono legami, e molto spesso ci sembra di restare svuotati: senza nessuno da stringere tra le lenzuola la notte e senza un risultato concreto da stringere tra le mani di giorno. Si vivono giornate in simbiosi, si osserva chi si ama relazionarsi con il mondo, ci si scambiano parole e liquidi organici, si vive mettendo la propria individualità al servizio dell’altro, in un delicato gioco di equilibri dal quale non ci si dovrebbe distrarre mai.

Poi -per colpa di un destino che non seduce- si crolla. Mentre continuo a fluttuare a mezz’aria senza più essere capace di ritrovare me stesso, capisco che non esisto più così come ero abituato a conoscermi. Sono diventato la somma di due persone, o forse più. L’anima di chi ho incontrato si è fusa con la mia in un’irreversibile combinazione. Le smorfie involontarie, i gesti spontanei, l’assomigliarsi dei volti: testimonianze inconfutabili del vissuto di chi ha amato. Siamo il prodotto dell’amore, e la romantica presunzione che chi rivediamo in noi possa trovare specchiandosi il nostro sguardo nel suo, ci guida.

Le persone che incontriamo sono quindi il prodotto dei loro legami? Sono dunque a loro volta risultati e fattori di una precedente somma? Siamo costantemente tutti alla ricerca della combinazione chimica perfetta che scateni una re(l)azione gassosa? Mentre mi osservo, nel silenzio rotto dai rumori della città, mi chiedo se crescere non significhi fondersi, confondersi, concedersi, abbandonarsi, ritrovarsi, perdersi, prendersi e conoscersi.

In una parola, amare.

Gente presa da dietro (ma anche da davanti)

Una volta la mia professoressa dell’accademia mi disse che l’ispirazione per scrivere lei la trovava nelle cose orrende, nello schifo e in tutto quello che obiettivamente la faceva rabbrividire. Aggiunse anche che il mondo, in questo, rappresentava la più inesauribile delle fonti e che le bastava guardarsi intorno per recuperare spu(n)ti interessanti.

Spesso quando cammino per strada non posso fare a meno di ricordarmi le sue parole; osservo la gente, inorridisco e scatto foto. Ho messo insieme un piccolo album con i soggetti -nel bene ma soprattutto nel male- più meritevoli.

Fino al giorno in cui mi denunceranno o prenderanno a botte, continuerò a scattare foto a sproposito; come oggi pomeriggio, dove in un centro commerciale fuori Milano ho trovato del gran pane per i miei denti.

Ecco a voi il reportage.

"Schiacciarsi i brufoli sul treno, di fronte agli sguardi increduli, perplessi e un bel po' schifati degli altri passeggeri"

"Schiacciarsi i brufoli sul treno, di fronte agli sguardi increduli, perplessi e un bel po' schifati degli altri passeggeri" Parte 2 (con ancora più accanimento e precisione)

"a me la ricostruzione non serve!"

"esercizi strani -e apparentemente inutili- in palestra"

"invenzioni geniali: il salvabanana"

"nomi geniali: lo schizzetto. Ma a cosa servirà?" (notare l'inquietante scritta che primeggia sullo sfondo... "primo soccorso"... ?)

"accostamenti misteriosi: vagisil e dentifricio sbiancante"

"multifunzionalità; questo smacchiatore elimina le macchie di gelato. Ma anche di sangue."

"al centro commerciale in grande stile: ciabatta, tracolla e nonchalance"

"non ho neanche sessant'anni e guarda un pò cosa mi sono ridotta a fare; la dimostratrice all'Auchan di sabato pomeriggio" (con tutto il rispetto per le dimostratrici! loro sì che si fanno il paiolo!)

"stile."

"chiattone inibito. Indossa jeans che non si può permettere, esce di casa, cammina, e passa poi il tempo a coprirsi il culo con una t-shirt; purtroppo anche lei troppo piccola per coprire qualsiasi cosa"

"chiattona disinibita. Se ci penso bene io l'ammiro; si fa presto a sbattere il culo in faccia a tutti quando sei Belèn. Prova a essere una giovane elefantessa, poi ne riparliamo." (grazie a C. per la foto)

"e per concludere un consiglio: scegli Gesù. Soprattutto in autostrada!"

I ciclisti della domenica: concentrato di prepotenza, arroganza e scarsa capacità di immedesimazione nel prossimo

Il fatto che non prendano la bici per tutto il resto della settimana dovrebbe in qualche modo già essere un’indicazione molto chiara. Forse il fatto che la gran parte di loro sia solita muoversi in auto dovrebbe rappresentare un deterrente alla mal gestione che fanno -la domenica, su due ruote- della strada. Essendo sia automobilisti che ciclisti, potrebbero essere in grado di mettersi nei pani sia dell’uno che dell’altro. Invece no. In questa società tutti viviamo con ruoli interscambiabili, ma purtroppo il multitasking non è contemplato. Così, si finisce per guardare solo i propri piedi ignorando chi ci sta dietro (o a fianco, o davanti, o dove vi pare).

Solitamente quando esci di casa la domenica mattina -in auto- guardi sorpreso il sole di un autunno ancora troppo caldo e respiri a pieni polmoni l’aria che sembra improvvisamente meno inquinata e più accomodante per le nostre narici.

Senza preavviso, senza possibilità di replica, arriva uno sciame di vespe incarognite che ronza fastidioso a fianco della testa, ancora rincoglionita e assolutamente impreparata al rientro alla realtà che solo un caffè fumante potrà concederci. Sembrano moltiplicarsi come gremlins e dal lato della strada si spingono sempre più verso il centro, arrivando a impegnare completamente la carreggiata. Parlano tra loro dimenticandosi della società, ridono, spensierati, senza rendersi conto di ciò che sono in realtà: un tappo. Così, la domenica, nota da secoli come momento di scorrevolezza stradale, diventa una lunga, impercorribile, corsia congestionata.

La capacità di immedesimazione nel prossimo -che spesso non è altro che una proiezione di noi stessi in un momento diverso da quello che stiamo vivendo- ci salverebbe da tanti disastri e -a parer mio- renderebbe più scorrevole il traffico. Quello stradale, ma soprattutto quello della vita.