andreadevis

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Se l’amore non esiste

Deglutisco l’indulgenza riflettendo sulle cose che vorrei cambiare. Passeggio per le strade del centro calpestando il pavé sconnesso. Ripenso all’amore che non esiste, provo a bastarmi.

Se l’amore non esiste, cosa resta? Guardo i portoni chiusi delle case del centro: sempre imponenti, compatti, con quell’aria austera tipica dell’architettura fascista. Non si sa chi ci viva.

Se l’amore non esiste, rimane un lontano sapore dolciastro sulle labbra. Stucchevole, melenso. Rimane l’apparenza di un fine settimana in mezzo ai sorrisi di persone che si improvvisano amiche. Un paesaggio bucolico, ora il mare, ora la neve. Pesanti stoffe pregiate dalla fantasia discutibile ricoprono poltrone disabitate da tempo, nell’anonima hall di qualche albergo. Polvere, cenere, sabbia, sale.

Se l’amore non esiste, restano le scopate violente, fatte con talmente poco cuore che se non fosse per il dolore potresti essere morto. Una camminata in punta dei piedi sul bordo, tra dolore fisico e mentale, aspettando il momento giusto per lasciarsi cadere con la faccia sul pavimento, riprendendo così il contatto con la realtà, pur partendo dai suoi confini.

Se l’amore non esiste, rimane tutto il resto. La voglia di non diventare mai né invincibili né immortali. Il profumo stomachevole degli altri, che però non si può fare a meno di annusare, quasi fosse un feticcio.

Se l’amore non esiste, resta la paura della solitudine. Familiare al punto da risultare una sfumatura della personalità. Assorbita, stemperata, ma mai davvero superata. Restano le solite orge di parole, i grovigli di lettere e di cose dette a metà. Frasi coniugate all’imperfetto. Punti e virgole sparpagliati perfettamente.

Se l’amore non esiste, resta un monosillabo dietro cui nascondere le lecite ambizioni che ci rendono umani.

Se.

Sputi di riflessione

A cosa serve autorizzare le unioni civili se non è rimasto nessuno di civile cui unirsi?

Direi che è tutta una questione di tempismo, se non fosse già l’incipit di mille altri miei articoli. Ma è davvero una questione di tempismo, di pessimo tempismo per la precisione. Nella mia città, Milano, sono state autorizzate le unioni civili, ed è stato per me l’ennesimo sputo di riflessione. Al di là della tremenda parola “autorizzazione”, che già di per sé ci riporta ai tempi in cui era il pater familias ad avere totale potere sulla vita dei figli, ho pensato al bisogno incontrollabile di sentirsi parte integrante di qualcosa: una famiglia, una coppia, la società stessa. Vale davvero la pena unirsi a qualcosa o a qualcuno? Certamente sì, ma il problema è sempre lo stesso: chi?

Beffardamente fuori tempo massimo, ci propinano queste unioni. Qualcuno è unito, qualcuno si unirà, qualcun altro -all’inizio riluttante e un po’ snob all’idea- ci sta ripensando. Io penso agli altri -a noi altri- persone di poca fede che faticano a riconoscersi in un prototipo. Lo so; ci si sente presi in giro. Mi guardo intorno come al solito senza trovare nemmeno una donna (o un uomo) alla quale valga la pena, civilmente, di unirsi.

A tal proposito c’è grande confusione in città, e i modelli proposti sono forvianti. Nel mio intimo c’è chilly -e basta- ormai da molto tempo. Pare anche che vodafone non giri più intorno a me e che la coop non sia veramente io. Garnier non si prende più cura di me e come se non bastasse hanno scoperto una nuova diffusissima malattia femminile: la cellulite.

Tutti se ne lavano le mani e poi impazziscono cercando la fede, che spesso non è perduta, ma solo ferma in fondo allo scarico del lavandino.

I ciclisti della domenica: concentrato di prepotenza, arroganza e scarsa capacità di immedesimazione nel prossimo

Il fatto che non prendano la bici per tutto il resto della settimana dovrebbe in qualche modo già essere un’indicazione molto chiara. Forse il fatto che la gran parte di loro sia solita muoversi in auto dovrebbe rappresentare un deterrente alla mal gestione che fanno -la domenica, su due ruote- della strada. Essendo sia automobilisti che ciclisti, potrebbero essere in grado di mettersi nei pani sia dell’uno che dell’altro. Invece no. In questa società tutti viviamo con ruoli interscambiabili, ma purtroppo il multitasking non è contemplato. Così, si finisce per guardare solo i propri piedi ignorando chi ci sta dietro (o a fianco, o davanti, o dove vi pare).

Solitamente quando esci di casa la domenica mattina -in auto- guardi sorpreso il sole di un autunno ancora troppo caldo e respiri a pieni polmoni l’aria che sembra improvvisamente meno inquinata e più accomodante per le nostre narici.

Senza preavviso, senza possibilità di replica, arriva uno sciame di vespe incarognite che ronza fastidioso a fianco della testa, ancora rincoglionita e assolutamente impreparata al rientro alla realtà che solo un caffè fumante potrà concederci. Sembrano moltiplicarsi come gremlins e dal lato della strada si spingono sempre più verso il centro, arrivando a impegnare completamente la carreggiata. Parlano tra loro dimenticandosi della società, ridono, spensierati, senza rendersi conto di ciò che sono in realtà: un tappo. Così, la domenica, nota da secoli come momento di scorrevolezza stradale, diventa una lunga, impercorribile, corsia congestionata.

La capacità di immedesimazione nel prossimo -che spesso non è altro che una proiezione di noi stessi in un momento diverso da quello che stiamo vivendo- ci salverebbe da tanti disastri e -a parer mio- renderebbe più scorrevole il traffico. Quello stradale, ma soprattutto quello della vita.