L’indecenza del non detto
di Andrea Devis
Quella voglia incontenibile di raccogliermi nello spazio tra il suo fianco e il braccio steso sul letto. Rassicurato da un odore, da un gesto di intimità e dal sovrapporsi di fantasia e realtà.
Ieri notte, mentre rientravo a casa, sentivo gli ultimi avanzi di pioggia inumidire i vestiti, ma senza alcuna voglia di proteggermi ho camminato fino al portone, pensando alla vulnerabilità di chi mette in gioco sempre il cuore. Anche quando non serve. La sensibilità è spesso in uno sguardo, o nelle frasi che non si dicono.
Strada deserta. Parole sbagliate, tronche. Il non detto ferisce, semplicemente con il suo non esistere. Imparo la lezione, me ne dimentico, e me ne ricordo quando ormai è già troppo tardi.
A volte ci si trova fuori dal rassicurante incavo tra spalla e braccio ed è il rumore assordante del silenzio che inghiotte le nostre parole. Dovresti gridare così forte che sembreresti un pazzo, vulnerabile, ma la paura mascherata da rispetto te lo impedisce. E quando il rumore smette ed il silenzio si manifesta nella sua forma più comune sei così distante che riesci solo ad emettere sussurri, discreti, a te stesso. Parli da solo, simbiotica psicosi, e la puntualità resta il tuo rimpianto perfetto.
Imparare e dimenticare. Ricordare e perseverare.
Malsane abitudini.
Parole perfette, malsaneabitudini.
Grazie!