andreadevis

singer / songwriter / vocalcoach

Tag: pensieri

Roba vecchia ancora nuova

Alla fine non credo riuscirò a fare davvero a meno della musica.

Ormai è un anno e mezzo che non entro più in studio di registrazione per dare forma alle idee, e mi manca tanto. È stata una presa di posizione a tutti gli effetti, una sorta di ripicca verso un mondo che non ha mai voluto ascoltarmi. O forse no; uno stratagemma dettato dalla ritrosia di chi si è avvicinato tante volte all’obiettivo senza mai raggiungerlo davvero, con conseguente frustrazione e – per l’appunto – recalcitranza all’idea di rimettersi in gioco, non arrivare da nessuna parte e finire per raccontarsi che in fondo lo si deve fare solo per se stessi, e va bene così.

A mancare è proprio la passione che sempre mi ha contraddistinto. Nonostante continui a scrivere e a immaginare come sarebbero le mie composizioni se solo avessero la possibilità di concretizzarsi, mi manca lo slancio. E preferisco risparmiare qualche soldo per farmi un bel viaggio a New-York anziché investire nella produzione di musica che ascolteremmo in pochi (e con “pochi” già sono stato generoso).

Sì, ma tornerò. In qualche modo tornerò. Anche a costo di farlo solo per me stesso, come mi suggeriscono gli amici sognatori dalle notevoli possibilità economiche.

Nel frattempo – confinato in casa per una convalescenza obbligata – ho frugato negli archivi per compiacermi di passati successi mai successi, come talvolta mi capita di fare (quanta autoreferenzialità!). Dopo aver sorriso ascoltando i miei primi puerili tentativi cantautorali (in buona parte più pregevoli di tanta discografia mainstream attuale) mi sono ritrovato tra le mani una cartella denominata “anni dieci”.

Certo che tra il 2010 e il 2017 ne ho fatte di cose. Era un periodo molto prolifico. Scrivevo per un mensile, scrivevo qui sul blog, scrivevo e incidevo canzoni. Ci provavo tanto. Oltre a scrivere soffrivo un casino per amore, e facevo i conti ogni giorno con una città mutevole e con le difficoltà legate al lavoro. Oggi certi aspetti non sono cambiati, molti altri sì. Non è che tutto quel caos che avevo nella testa, in fin dei conti, è stato il motore di tante cose? Sono passati dieci anni da allora, e no: non tornerei indietro.

Pubblicherò l’album mai pubblicato, che poi alla fine si tratta di una manciata di canzoni, cinque o sei. L’ho tenuto nel cassetto per tutti questi anni, ma se tanto mi da tanto, probabile che sia una delle cose più interessanti che abbia fatto. Di sicuro è figlio di quegli anni, annaffiato con lacrime abbondanti e fatto crescere sotto un sole che se non stai attento ti brucia (quest’ultima frase è orribilmente nel mio stile blog anni dieci).

A presto.

Dagli orifizi agli orefici

Una volta fare del sesso al primo appuntamento era considerata una cosa sconveniente. C’era questa regola secondo la quale se ti interessava una persona, era meglio non andarci subito a letto. Per prudenza, per non dare un’idea sbagliata di te e delle tue intenzioni. La maggior parte delle volte la faccenda si risolveva probabilmente con una prevedibile, colossale, fregatura. Sì, perché se da una parte l’erotismo e la seduzione sono in buona percentuale fatti di attesa e fantasia, dall’altra, l’essere umano non può vivere di voli pindarici, e ha bisogno di certezze. Non esiste una reale connessione tra tempo, sesso e storie a lungo termine, ma chi desidera al proprio fianco una persona – e una soltanto – per buon senso, dovrebbe quanto prima accertarsi della qualità carnale della combinazione. Non per tutti ha la stessa importanza, no, certo.
Curiosa è sicuramente l’attitudine di alcuni che – innamoratissimi – dopo una tanto attesa notte di (auspicata ma non pervenuta) passione, si ritrovano nella merda, senza sapere bene come fare per archiviare il caso. Si può ritentare, ma qui non c’entra la bravura. Serve essere il giusto addendo in un’addizione dove il risultato non può essere un’incognita.

Lo definirei romanticismo postmoderno. Quella voglia di perderti negli occhi di chi hai di fronte, magari sfiorarsi quasi inavvertitamente per sentire l’elettricità che si genera. Silenzi concavi, vuoti come i nastri vergini su cui registravamo la musica, apparentemente sconnessa, ma che ancora oggi non comporremmo con un ordine diverso. E le mani, convesse, prominenti, sempre desiderose di afferrarsi, magari in un abbraccio o a testimonianza di una non-assenza.
Il silenzio, è erotismo. Lui e la sua mutevole natura, delicata, fragile. Da rompere con i sospiri, o magari da lasciare immacolato, o ancora da frantumare con parole inaspettate. E sono proprio le passioni consumate con inevitabile ingordigia, che tracciano i dettami di una nuova possibile relazione; con le schegge, i bordi taglienti e quella inconfutabile voglia di farlo di nuovo per vedere se ci si può avvicinare ancora di più.

Primavera

Distese

Di papaveri, sottili, incauti

Ai bordi di strade senza nome, dimenticate ma percorse

Ostinati, ritornano, per coprirsi di nero

Puttane, di notte, contemplano

Nel buio, forme indefinite di amore

Altra aria

Ci siamo ospitati, nei corpi, colmi di noi, dunque alla nausea.

Il mattino, impervio, ci ha sorpresi, spaiati.

Come un bambino non ho saputo vestirmi, trovarmi, nel disordine che non ho saputo ripensare.

Ingordi di quella carne, ce ne siamo riempiti le bocche, impastate di lacrime, allo sfinimento.

Non dormo più, esco.

A cercare altra aria.

Il negozio di liquori

Frastornato dall’improvvisa quiete di un’irriconoscibile Milano svuotata della sua frenesia, mi sono rifugiato per un attimo dalle convinzioni e dalle mie ritrovate stabilità. Statico, mi sono rispecchiato nella vetrina del negozio di liquori, riflettendo sul riflesso, ubriaco di vita, talmente zuppo di certezze da risultare irremovibile per qualsiasi tempesta dalle ambizioni catastrofiche.

Un tempo avrei trovato rifugio nelle parole, prolungamento naturale dei malesseri, dei pensieri. Mi sarei messo alla prova con l’ennesima scelta sbagliata, solo per una manciata di emozioni che mi avrebbe reso più creativo, meno ingordo, inquieto. Ma oggi no. Mentre me ne stavo lì ad osservare pensavo al tradimento. Non quello degli amanti – quello del tempo. Bastardo, spietato, senza remore.

Meglio o peggio, cosa importa? Un attimo fa avevo vent’anni, uno zaino rosso con dentro il diario, due o tre desideri, parecchia ambizione, la merenda e pochi segreti (non ne sono mai stato un grande estimatore). E se c’è un tempo per ogni cosa, rimane la diffidenza. Per le speranze tradite, verso le persone che non hai mai incontrato, per quei traguardi che forse non hai mai desiderato davvero raggiungere – anche se non lo ammetterai mai.

Ma a cosa serve compatirsi? L’autocompiacimento, a chi giova?
Inseguire una chimera, per amare l’assurdo, rendendosi infelici. Guardarsi intorno, riscoprirsi consapevoli, amare e amarsi, anche se non è come ce lo si sarebbe aspettato.
La strada, il negozio di liquori, ubriacarsi di vita, le ritrovate stabilità.