andreadevis

singer / songwriter / vocalcoach

Tag: volti

Soli, responsabilmente

Mi stavo domandando: fino a che punto si può arrivare per paura di restare soli? Quali e quanti compromessi siamo disposti ad accettare pur di diventare la metà di una coppia? In un paese dove l’apparenza e la finzione sembrano gli unici ideali condivisi e rimasti validi, come dobbiamo comportarci quando ci troviamo di fronte a una persona che potrebbe essere quella giusta ma che -per una serie di motivazioni il più delle volte sconosciuta- non fa scattare in noi la passione e il desiderio? Siamo abituati a fingere (una simpatia, uno stato d’animo, un appagamento sessuale, etc.) ma siamo capaci di fingere un sentimento? Sembra che essere single per molta gente sia diventato un problema, tra porzioni di surgelati tarate per due, continue offerte di week-end romantici per coppie e inviti a cena da parte di amici sposati che non perdono occasione per provare a piazzarti con qualcuno (o per raccontarti di quanto sarebbe bello poterti piazzare con qualcuno).

La vera domanda credo sia un’altra: stiamo veramente così male da soli? La gente si lascia e si fidanza nuovamente con una rapidità sconcertante, per paura di doversi ritrovare a fare i conti con se stessa, con i propri limiti e con l’incapacità di vivere un rapporto sereno in autonomia. Ma è tanto scontato quanto vero dire che per avere un buon rapporto di coppia bisogna partire da un ottimo rapporto con se stessi. Vanno valutate le alternative. A Milano non c’è molta scelta, ed è complicato trovare qualcuno che ti piaccia e ti faccia scattare la voglia di andare oltre una bella cena o un paio di chiacchiere. La grande scommessa è trovare qualcuno in grado di intrigarti e al tempo stesso appartenente alla categoria giusta, ovvero: ho una buona posizione lavorativa, cultura e interessi validi, vado in palestra, mi tengo bene, sono presentabile e tra le mie intenzioni c’è quella di costruire qualcosa non a scadenza prossima. Di persone sul genere ne sono rimaste pochissime; se pensi che hai avuto la fortuna di conoscerle -e non ti hanno fatto scattare quel non so ché indispensabile per avviare una relazione- non puoi fare altro che sentirti totalmente fottuto. Non tiriamo nemmeno in ballo la possibilità -per altro tutt’altro che remota- che si possa anche non piacere ai cosiddetti soggetti perfetti.

L’altra sera, mentre eravamo fuori a bere, io e Sam ci siamo persi tra domande e statistiche riguardanti le persone giuste e sbagliate. Mentre mi raccontava della sua ultima conquista amorosa -chiedendomi consigli che data la mia millantata esperienza avrei dovuto dispensare con più sicurezza- ci siamo soffermati su un dato interessante. Mi raccontava che su una stima di persone con le quali ha condiviso il letto, circa l’ottanta per cento è composto da soggetti con i quali difficilmente si farebbe vedere in giro, il quindici per cento è la percentuale di gente interessante e che sarebbe valsa la pena frequentare (se solo la cosa fosse stata reciproca) e il restante cinque per cento è quello dei volti da copertina, quelle facce (e quei corpi) che difficilmente dimentichi e che ti fanno sentire una persona fortunata (e arrapata). È davvero quindi tutta una questione di gerarchie? Forse sì, ma non dobbiamo dimenticare che per qualcuno potremmo essere noi i rappresentanti di quel cinque per cento. Quindi si ritorna al punto di partenza: la compatibilità. Se con le persone sbagliate è impossibile creare un qualsiasi legame, e se ormai anche quelle poche giuste rimaste non ci vanno bene, non rimane altro che puntare su un buon rapporto con noi stessi, che è poi un legame inscindibile, nemmeno volendo. Prendiamo in considerazione l’idea di rimanere soli, perché il matrimonio non è per tutti. Figuriamoci l’amore.

Senza Titolo

Cammino, mi guardo i piedi, osservo le mattonelle del marciapiede saltandole a due a due. Un anno è già passato ma sembra che si sia trattato solo di una banale manciata di minuti. Non voglio fare bilanci, eppure mi ritrovo pensieroso a fissare il soffitto di un’anonima stanza d’albergo, mentre in lontananza (ma non troppo) qualcuno strilla e ride godendosi questa domenica di un’estate fuori tempo. Incrocio volti già visti, già dimenticati, già archiviati e relegati nel loro anonimato. Mi lascio cogliere impreparato da me stesso, ponendomi domande per le quali sarebbe bastato studiare a memoria. Cerco nella mia testa un incoraggiamento; o forse no, sono troppo stanco, guidare fin qui è stato pesante. Cerco allora nella mia testa una voce da seguire, ma i miei pensieri sono rimasti afoni. Penso a un futuro senza contorni, penso che forse mi farà bene scriverne. Penso alla precarietà sentimentale, penso alla superficialità delle relazioni, penso che dovrei imparare a essere più strafottente e meno sensibile.

Penso, sperando che le palpebre accompagnino gli occhi in una dimensione diversa, dove i dubbi risultano impalpabili come zucchero a velo tra i polpastrelli.

 

 

Personalità non aderenti ai corpi

Elaboro, scruto, rifletto, ripenso, ritratto, ritraggo mi distraggo e mi rimangio -restando sempre e comunque sistematicamente fregato.

A fregarmi è la mia mentalità artistica, capace di tracciare per ogni persona che incontra un profilo idealizzato seguendo un ideale universalmente non valido. Ne ho già parlato con successo proprio su queste pagine e la colpa è ancora una volta loro: gli inestirpabili Peni Superflui. Essi albergano nelle nostre vite come viscide lumache in un guscio non loro. Sono anche detti “conoscenti”; termine che tutto significa e nulla spiega.

Quando mi capita di approfondire la conoscenza di questi personaggi, fino ad allora rimasti “parcheggiati” nelle piazzole di sosta delle nostre vite (domandiamoci perché), il corpo entra in conflitto con la personalità. Così io mi perdo, confondendo il profilo che avevo disegnato per loro con i volti di perfetti sconosciuti, in grado di lacerare ogni mia certezza con proverbiale rapidità.

Perché non è tutto oro quel che luccica? Perché una rondinella non fa primavera? Perché non si può giudicare un libro dalla copertina nonostante sia poi il criterio che tutti seguono per decidere quale scegliere tra i tanti sullo scaffale? Perché non si può giudicare dalle apparenze?

Vorrei che le persone avessero personalità più aderenti ai corpi. Ai loro corpi. Ma anche a quelli degli altri, se c’è coerenza. Vorrei che tutti assomigliassero a quello che sono. Vorrei che contenitore e contenuto corrispondessero.

Quante ore di domande a vuoto risparmiate, se solo l’abito facesse il monaco! Quanti inutili scrupoli saltati a piè pari se solo le personalità fossero più aderenti ai corpi! Sì, se lo fossero. Se le personalità fossero più aderenti ai corpi… che pacchia. Sì, ma non lo sono.

Non lo sono quasi mai.