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Tag: trovare la persona giusta

Trovare la persona giusta ma rendersi conto di essere quella sbagliata (2016)

Milano era bollente, ieri sera. Il solito asfalto vivo, che butta fuori calore come se sotto ci fosse l’inferno. Magari c’è.
Oggi fa ancora caldo ma senza sole e tra poco – fuori luogo per essere il 12 luglio – arriverà un acquazzone. Una tempesta tropicale, intensissima, luminosa, inappropriata. A volte il cielo della città sembra rispecchiare alla perfezione gli stati d’animo delle persone che la abitano. Rapidamente, cambiano le cose, passano le nuvole, tornano, se ne vanno di nuovo, la strada si asciuga. Rapidamente, così come cambiano le pretese – le persone – insieme alle loro integerrime convinzioni.

Sembra ieri, il 12 luglio del 2009. Seduto sul prato del cimitero di Westwood, a Los Angeles, contemplando la lapide di Minnie Riperton (agli esordi anche conosciuta come Andrea Davis). Una delle mie muse, con quella voce inarrivabile e quelle canzoni avvolte nel velluto tipo Inside My Love. Mi ritrovo in qualche fotografia, pensando a quanto non mi curassi di cose ora fondamentali. Ero giusto, giustamente sbagliavo.

Qual è la proporzione? Interlocutori differenti, scenari simili, relazioni analoghe. Si affina lo stile, si ama meglio. Un po’ meglio, ma non so quanto. Sicuramente non c’è una regola, e fare statistiche è impossibile. È bello ingentilire il proprio modo di amare. O quello degli altri, meraviglioso.
In testa un frullatore, i dubbi per le scelte fatte nell’epoca in cui giustamente si sbagliava, i sensi di colpa per i torti presumibilmente fatti e per quelli che potresti fare a qualcuno o qualcosa che ancora non c’è, o a te stesso. Rivaluti, soppesi, sopporti, sospendi, rileggi e poi basta.
Ho scritto sul muro alla sinistra del pianoforte smetti di essere chi sei e comincia a essere chi vuoi. Liberamente interpretabile, l’aforisma ha dato vita a critiche sparse. Retorico, banale, forse già sentito, ma reinterpretabile. Leggilo come ti piace di più. Fanne quello che vuoi. Se i problemi sono gli stessi di sempre, cambia tu.

Certe persone, alla fine ci prendono gusto, a essere infelici. Ammesso che lo siano davvero.

Sentimentalmente impotenti (trascurabili mancanze)

È davvero necessario avere qualcosa in comune con chi ci piace, per poter avviare una nuova relazione? Forse è più sensato pensare che ad avere qualcosa in comune tra loro debbano essere le persone che ci piacciono. Se fossero invece le mancanze a fare la differenza? Inestirpabile, l’ostinazione di chi continua a cercare le persone giuste nei luoghi sbagliati (o nei corpi sbagliati). Proviamo a prendere le distanze dal passato, ma poi ricadiamo negli errori di sempre, provando ad affiancarci a un’altra persona – giusta e sbagliata – esattamente come quelle che ci sono state prima. Siamo la somma delle nostre esperienze, successi e fallimenti. Ci piacciono le persone con le quali soffriamo solo per avere qualcuno cui dare la colpa?

Ci ho provato, mille volte e più, a cambiare rotta, ad aggiustare il tiro, a ridimensionare le richieste, senza mai scendere veramente a compromessi; perché la felicità è una sola e non è negoziabile. Con certe persone si genera una strana energia. Frizzante, inebriante, al tempo stesso evanescente. Se ne diventa dipendenti. Si baratta la lucidità per l’emozione. Innovativo sport estremo – ma già démodé – e alla portata di tutti.

Perché sentiamo la necessità di trovare un colpevole contro cui accanirci quando si tratta di esaminare le nostre relazioni? Temiamo un rimprovero? Un monito per le inadempienze? Non ci perdoniamo mai nulla, ma spesso in amore – così come non esistono vincitori e perdenti – non esistono colpevoli contro cui scagliarsi. Si rimane soli, con il tempo a fare da giudice, così inefficacemente neutrale e così inavvertitamente spietato.

Ad accomunare le persone sbagliate – puntualmente fuori luogo – c’è il loro essere inappropriate, il loro essere sentimentalmente impotenti.

E ci siamo noi.

Unioni (in)civili

Unioni civili. Sì.

Ma la verità è che alla maggior parte dei gay non interessa sposarsi, quanto più l’idea di poterlo fare. Siamo circondati da persone incapaci di gestire il profilarsi di una relazione, figuriamoci se credo alla cazzata che qualcuno voglia prendersi la responsabilità del doversi impegnare in un matrimonio (o succedaneo).

Tutto sommato, questo non è altro che il mio specchio; Riflette una realtà deforme, dai contorni sfocati e dagli indefinibili capitoli di sottotesto che non ho nemmeno più voglia di scrivere. Perché si sa: ci si innamora delle perversioni (fisiche o mentali, non c’è confine) ma si è sempre pronti a prenderne le distanze nel momento in cui iniziano a invadere quella rassicurante placenta che chiamiamo quotidianità.

Ti fanno sentire una puttana, e inavvertitamente diventi la loro trasgressione. Con cui stare bene, con cui essere se stessi. Oltre le domande, tra le lenzuola, in mezzo agli impegni, oltre le richieste. Ci si può innamorare senza avere il peso di doverlo dire. Innamorarsi di una puttana, imparare a stare bene, correre a sposare una santa.

Quindi sorrido, nella speranza, un giorno, di poter anche io “incastrare” uno di quei brillanti e fighissimi quarantenni nei quali inciampo scorrendo la lista delle ultime chat di WhatsApp. Paladini di diritti di cui non usufruiranno mai.

È caccia aperta.

Forse non siamo stati del tutto sinceri

Forse non siamo stati del tutto sinceri, stasera. Reciprocamente, individualmente, e nelle molteplici e indecifrabili sfumature di un rapporto dove il sesso non è banalmente squallido come il copione avrebbe previsto. Nessun melenso romanticismo, piuttosto una manciata di lontane sensazioni che probabilmente sono stato l’unico a cogliere. O a inventare. Il cielo era sincero: poche nuvole, il solito colore astratto e quel vago ma costante sentore di pioggia notturna. Me ne sono reso conto a mezzanotte, mentre camminavo verso la mia auto.

Ho ancora il suo odore addosso e penso me lo porterò a letto. Per pigrizia, o come souvenir delle sue mani. Per un attimo mi è sembrato che entrambi volessimo altro. Alla fine – ognuno con le proprie remore – abbiamo ripiegato sul finale più prevedibile, senza aggiungere nulla di nuovo. È strano: non so se ci passerei la notte insieme. Sa farmi impazzire come pochi, e dice che la chiave per capirmi è nel modo che ho di abbracciarlo. Sarebbe in grado di restituirmi sul confine con il mattino uno di quegli abbracci sinceri e totali di cui parla? Una stretta forte, che acquieta e tacita qualsiasi domanda?

Forse non lo voglio nemmeno sapere. È tutto già esageratamente familiare: a metà tra la citazione della serenità e il preambolo della follia.

Ci rincontreremo come gatti, a metà strada tra le nostre identiche libertà.

 

 

Ed è già giorno

I cuscini sono ancora caldi e le nostre parole stanno tutt’ora riverberandosi negli angoli della stanza. La notte profonda e il mattino si confondono, in un connubio prima di luci e ombre, poi di rumori e vuoti inattesi. Un confine che quasi si fatica a cogliere: ed è già giorno.

Riesci a vivere tutto questo senza indugiare sul bordo dei pensieri e senza pensare alla luce che domani svelerà qualche cosa di me – per te – ancora inedita? Io sì, ho imparato. È costato tutto tanta fatica. Forse tu sei migliore – più scaltro – e poi non hai paura.

Ho aspettato un po’, crogiolandomi sul braciere degli interrogativi che mi fa sentire tanto umano e terreno. Poi ho preso coscienza del fatto che quando qualcuno non ci vuole al proprio fianco è perché magari ha paura. Concentrandosi troppo sulle proprie paure, ci si dimentica di quelle degli altri. Per questo bisogna soffermarsi solo sul presente, sullo stare bene adesso.

È tiepido, questo vento notturno. Quasi mi fa venire voglia di camminare: la città non è muta, ma è quieta.