andreadevis

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Tra parentesi

Credo mi piacciano le parentesi. Sono un gran bel segno grafico, e non dico “un” a caso, perché quei due archetti se ne viaggiano da sempre solamente in coppia. Certo, essere la parentesi di qualcuno è una cosa un po’ diversa (molto diversa, e non necessariamente così entusiasmante) ma è tutto un altro discorso. Le parentesi raccontano segreti, chiariscono concetti farraginosi e nascondono preziose informazioni attraverso le quali possiamo arrivare a guardare il mondo con occhi diversi.

Una mezza parentesi non è altro che una linea storta, ma se riesce a trovare la sua controparte, assume un’importanza tutta nuova. Le parentesi sono sempre formate da due elementi {e non lo dico tanto per dire [quando uso “sempre” mi riferisco a tutti i casi: matematici o grammaticali che siano (ovviamente pure sentimentali) non fa differenza] tant’è che una parentesi sola si è vista unicamente in tempi recenti per dar vita a qualche discutibile “smile”}.

Se non hai il coraggio di vivere qualcosa a pieno, e temi di venir spazzato via dalla cerebralità degli eventi (o semplicemente dalla tua) puoi ricorrere alle parentesi: usarle correttamente non è però sempre facile {devi conoscere bene la grammatica [delle cose (e dei casi)per aprirle e chiuderle nei punti giusti} infatti molte persone combinano dei veri e propri disastri, finendo per non capire più che cosa stia al di fuori e che cosa invece debba restare dentro.

A mio avviso la cosa più importante è l’identità (non quella delle parentesi, ma la nostra!) e se fossimo capaci di guardarci andando oltre i limiti e superando la paura del confine {eventualmente anche del confine della parentesi stessa [o delle parentesi stesse (a seconda della complessità della questione)nella quale ci siamo confinati} potremmo finalmente comprendere che il posto in cui “dobbiamo” stare è semplicemente quello nel quale non abbiamo la necessità di aprire parentesi di nessun tipo; o dove al massimo siamo uno dei due indispensabili segni grafici che contengono un pensiero, proteggono un progetto, abbracciano un ideale comune e raccolgono un universo infinito.

 

Ci innamoriamo delle persone che vorrebbero cambiarci perché non amiamo noi stessi

Ovviamente la colpa è nostra. Quando si ama, non esiste colpa, potrebbe dire qualcuno. Infatti. Quando si ama non c’è mai colpa, ma quando non si ama invece un colpevole c’è sempre. Di solito siamo noi i colpevoli, che per qualche strano motivo che sfugge, non riusciamo -non dico ad amarci- ma a volerci quel poco di bene che renderebbe le cose decisamente migliori.

Le persone sbagliate sono da sempre le protagoniste indiscusse di queste pagine: sia quando a essere “sbagliati” sono gli altri, sia quando ad essere sbagliati siamo noi, con i nostri atteggiamenti e il nostro modo discutibile di vivere le relazioni (reali e non).

Questa vuole essere una riflessione sulla lontananza. Non parlo della lontananza dei corpi, quanto più della lontananza psicologica, quel tipo di lontananza che -quando ne prendi atto- ti fa sentire estraniato e deluso, senza però sapere bene perché. Non è necessario essere una coppia di vecchia data per provare il brivido freddo della lontananza delle teste: è un atteggiamento mentale, che rende ciò che prima era familiare e intimo, improvvisamente estraneo e carico di tensione. Ti ritrovi senza più cose da dire, con gli occhi pieni di immagini incollocabili e con le orecchie che ascoltano parole pronunciate per sbaglio perché inconsapevoli della nostra presenza; tutto sommato, non siamo sempre dove il nostro corpo fa credere che siamo.

Sfuggiamo al confronto con lo specchio, e ci innamoriamo di chi ci vorrebbe diversi perché in tutta onestà siamo noi i primi a non sopportarci così come siamo. Avere la possibilità di puntare il dito contro qualcuno -qualora diventassimo una persona che non ci piace- è uno scarico di responsabilità facile e posticcio e che -finzionalmente- tiene in piedi fin troppi rapporti.

Sappiamo cosa ci fa male, e i più fortunati hanno anche imparato a evitarlo accuratamente, ma in verità, l’alternativa non è stare bene, bensì semplicemente stare. Non sappiamo come andare oltre, e ci accontentiamo di uno stato neutro, fino a che la nostra testa -in astinenza da quelle emozioni capaci di farci sentire vivi- ci fa prontamente ricadere negli errori di sempre, dei quali abbiamo ormai preso una consapevolezza tale da non permetterci più di poterli chiamare semplicemente “sbagli”.

Ci impegniamo con le persone impegnate perché sono poco impegnative

Ci deve essere un nesso. Una congiunzione astrale particolarmente sfavorevole o un recidivismo inguaribile. Un sottile filo che lega le nostre frequentazioni e che traccia -razionalmente- un profilo comune. Negarlo è inutile, comprenderlo e accettarlo è indispensabile; non per guarire, ma solo per essere consapevoli smettendola di piangerci addosso dando la colpa a un destino spietato (che non esiste). Siamo attratti da quello che non vogliamo avere. È una tensione costante, che tiene svegli i sensi e che fa sentire vivi, reattivi e pronti. A Milano, non ci sono più persone con le quali valga la pena frequentarsi -o meglio- non ci sono più persone libere con le quali valga la pena frequentarsi. A volte non vale la pena frequentare nemmeno persone impegnate -e se qualcuno pare frequentabile- dobbiamo poi fare i conti con i suoi inscindibili legami. I più coraggiosi ci provano, consci del fatto che uscire con qualcuno di impegnato, equivale a uscire anche con i suoi impegni.

In un certo senso inabissarsi nella frequentazione di qualcuno di impegnato può avere dei vantaggi. Chi cerca di evadere da un rapporto solitamente lo fa alimentando quell’eccitante tensione di cui sopra. Chi evade da un rapporto mette in mostra il meglio di sé; per sentirsi ancora desiderabile, per sentirsi ancora giovane preda o cacciatore. Grandi sorrisi, complimenti, qualche attenzione che lusinga e una buona dose di pregiata acqua di Parma. Gli ingredienti -in proporzione variabile- sono gli stessi da sempre. Noi ci prendiamo quello che di buono c’è, senza chiedere nulla in cambio. È piacevole e distensivo, nella misura in cui dall’altra parte troviamo lo stesso effimero pensiero di consapevolezza.

Esiste un limite, quello dei sentimenti. Domarli è impossibile, e proprio quando hai la convinzione di essere finalmente riuscito a governarli, loro si manifestano spietatamente. Nella maggior parte dei casi è la persona impegnata a perdere la strada di casa. Prenderle la mano e riportarla sulla retta via è la cosa giusta da fare, ma ti consacrerà ai suoi occhi come un santo salvatore protettore della famiglia e prossimo alla beatificazione; beatificazione che ti permetterà di venire elevato al ruolo di entità superiore, da idolatrare, per via di una morale incorruttibile, che è rimasta tale anche di fronte alla palese -ma meschina- possibilità di cambiare definitivamente le carte in tavola.

Elicitare una condotta moralmente stabile sarebbe in netta contrapposizione con l’intera situazione, ma a volte le persone impegnate finiscono per impegnarsi; con noi. Potrebbe sembrare una vittoria, ma non lo è quasi mai. È come se, venendo meno la penombra degli eccitanti e clandestini incontri, la tanto agognata luce del sole ci illuminasse fino a far sparire quel concentrato di sincerità e sentimenti che contraddistingueva le ore passate insieme.

Per quanto se ne dica, in fondo lo sappiamo: le persone già impegnate -e che si impegnano a loro volta con altre persone- sono persone delle quali non ci fideremmo mai.