andreadevis

singer / songwriter / vocalcoach

Tag: storie

In anteprima esclusiva su All Music Italia il video del mio primo singolo

Questa mattina su All Music Italia è uscito in anteprima esclusiva il video del mio singolo di debutto, “Dopo Di Te”. Il videoclip è stato diretto dalla mia amica regista Giovanna Tralli. È un piccolo passo, ma sono felice. Potete trovarlo qui: http://www.allmusicitalia.it/news/anteprima-video-andrea-devis.html

La canzone fa parte del mio primo album, “Nella Stanza”, dove ogni brano racconta una storia. Una miscela di pop con elementi presi in prestito da altri generi, come il Gospel, l’elettronica e il R&B.

C’è sempre uno spunto biografico nei testi del disco: attingo dalle mie esperienze o dalle vite degli altri, ma quando racconto una storia non lo faccio mai a senso unico. “Dopo Di Te” ne è un esempio. Nell’inciso canto: “senza di te non c’è più futuro è un salto nel buio” riportando a quello stato di confusione e incertezza tipico delle relazioni ormai giunte al termine, e al tempo stesso ancora presenti. Onestamente credo sia inverosimile pensare che senza l’amore non esista futuro o che tutto sia una spaventosa incognita, ma con la mia canzone ho desiderato raccontare di una delle tante facce del sentimento – “te” non è una persona – è solo un personaggio del mio racconto, non ha volto e non ha una collocazione, si propone in maniera neutra affinché ognuno possa identificarlo con chi vuole. Ci sono altri brani – come ad esempio “Zucchero Di Canna Nel Caffè” (ironicamente sottotitolata “Soli A Metà”) – dove racconto di una coppia che ha smesso di comunicare, di persone che hanno smesso di guardarsi. Si tratta di una miscellanea di parole che non ha me come protagonista, perché a volte un cantautore è semplicemente un narratore.

Sull’uscio

Sono sempre sull’uscio.

Dopo i sospiri, noi. Gli argini rotti di una tentazione.

L’ho osservato chiudere gli occhi: vulnerabile, spogliato di tutto, respiro costante, ciglia immobili, piedi arrossati, le teste agli opposti.

La sua mano che mi tiene una caviglia. Il mio corpo ai suoi margini. Il desiderio di contenerlo, mentre è assente. Sogna.

E per un attimo, solo in quell’attimo, l’ho amato.

Sesso con-cesso

Avete presente quando dicevo che l’aspetto fisico non conta, che la bellezza è relativa e che l’apparenza dovrebbe essere l’ultima delle preoccupazioni quando si parla di relazioni?

Mentivo.

È capitato a tutti di fare del sesso grandioso con persone che non presenteremmo mai agli amici, o peggio: con le quali non ci faremmo nemmeno vedere in giro. Qui però non si parla né di amore né della capacità di riuscire ad andare oltre la fisicità. Il problema è sempre quello: il giudizio degli altri. Siamo veramente disposti a lasciare che condizioni la nostra vita (sessuale e non solo)? Siamo schiavi dell’apparire, con la bramosia di sembrare quello che non siamo: ovvero semplicemente felici. Questo faticoso lavoro ci toglie l’energia per guardare gli altri con obiettività; se riuscissimo ad andare oltre quella stessa apparenza che inseguiamo, ci renderemmo conto che la gente dissimula, e che la loro felicità è spesso il solo riflesso delle nostre insicurezze.

C’è anche un’altra strana legge che governa le relazioni, da temere in considerazione (il refuso è voluto). Se una bella donna esce con un uomo non esattamente bellissimo, gli altri non pensano che in quella donna ci sia qualcosa che non vada, ma sono portati a pensare che lui abbia qualcosa di speciale (rendendolo così più attraente di quanto non sia e facendolo salire di posizione nella classifica degli uomini papabili); potrebbe essere un amante mozzafiato travestito da sfigato, o un importante personaggio di spicco della finanza internazionale (onestamente, che ne sappiamo noi della finanza internazionale e di chi siano i suoi protagonisti?) o potrebbe essere semplicemente molto ricco. Riflettendoci meglio, la gente potrebbe anche pensare che lei sia una puttana e basta.

Si tratta di ansia sociale, di stress da comunicazione collettiva. Siamo bombardati da continue richieste di condivisione; tutti si sentono in dovere di dire quello che passa loro nella mente, di condividere fotografie inutili, e di raccontare dove si trovano e cosa stanno facendo. Ormai addirittura i pensieri sono sottoposti al giudizio della collettività. Il vero status symbol, è diventato non avere un cazzo da dire e riuscire pure a farlo bene.

Il pericoloso confine tra vittima e carnefice

Cammini, sotto a un sole troppo caldo per essere solo marzo, e rifletti sul fatto che troppe volte ti sei pianto addosso senza pensare agli altri, concentrato unicamente su te stesso e sulla tua sofferenza. Scelte giuste, sbagliate, sconclusionate… ma comunque sempre dettate dalla mancanza di un sentimento sufficientemente forte dal farti perdere la testa. Ma le altre, teste? Le persone soffrono, ma se sei impegnato a piangerti addosso, fatichi a vederlo. Si passa così dall’essere vittima “della vita” a carnefice; colpevole di aver alimentato un’illusione che non è mai a senso unico.

Ti lecchi le ferite certo che il mondo ce l’abbia con te, ma non vedi il male che hai fatto. Ti sembra che la sceneggiatura preveda sempre i soliti passi falsi, e provi a farti coraggio cercando di capire cosa ci sia che non va.

Ti guardi, e pensi che -a trent’anni- sia arrivato il momento di cambiare, ai tuoi occhi prima di tutto. Il lavoro più duro sarà liberarsi di quell’immagine che hai inseguito -faticando- per troppo tempo e aspirare a una nuova identità, più autentica, lontana da chi sei e vicina a chi sarai. Dovrai essere creativo, cambiando la quotidianità e impostando i rapporti senza essere vittima dell’idea di quelli che già hai vissuto.

Superato l’ostacolo del rinnovamento, sarai pronto a vivere nuovi spazi, nuove persone e nuove relazioni, consapevole dell’autenticità di chi si muove tra il ruolo della vittima e quello del carnefice senza diventare mai né l’una né l’altro.

La dark room non è una stanza dove si sviluppano fotografie

Cercare, alla cieca. È un gioco, tipo nascondino. La ricerca dell’amore -e la sua scoperta- non può essere disperazione. Lo spirito ludico deve primeggiare. Basta con queste storie sulla sofferenza: l’amore è una cosa bella, non ha a che vedere -almeno all’inizio- con la depressione e la lacerazione dell’anima. L’amore non è una cosa semplice (diffidate da chi dice il contrario, son tutte cazzate) e ho la certezza che non si tratti di una cosa tremenda come una spina nel fianco.
Le persone ignorano il proprio lato infantile (a parte qualcuno che invece ne ha fatto un dispersivo stile di vita) ma si dovrebbe recuperare un po’ di quella sana voglia di giocare. Sarà una visione romantica -la mia- ma sorrido, pensando alla ricerca della persona perfetta come a una partita a nascondino.

Ci dovremmo prodigare per prenderci meno sul serio.

Inizia a contare, sto venendo a cercarti.