andreadevis

singer / songwriter / vocalcoach

Tag: solitudine

Eloquenti emozioni

Convenevoli obbligati, preludi, fastidiosi intercalare. Tutti ti salutano chiedendoti come stai? e poi nemmeno aspettano la risposta. Mettiamo i filtri alle fotografie, nella ricerca dell’anima gemella, alle intenzioni e ai modi. Ma non sempre. Non tutti. Eppure il desiderio di schermarsi è figlio di questi anni zero. Una protezione proiezione di quello che vorremmo essere, o in altri casi di quello che fingiamo di essere.

Ho fatto il giro un po’ più largo, ma la verità è che avevo semplicemente voglia di passare sotto casa sua. L’estate ha spogliato Milano: parcheggi vuoti e stazioni semi deserte. La città diventa una sorta di cimitero, il campo di una battaglia combattuta durante la guerra fredda dell’amore. Vorrei mettere l’autotune ai pensieri, che seguono un’intonazione tutta loro. Massì, sto bene.

Sto portando a termine un disegno e sono già proiettato in un altro luogo, sfuggendo all’idea di un rimpianto per il tempo passato, perduto e certe volte sprecato. Metto insieme le idee, raccolgo un paio di note, qualche accordo e tante parole allontanate. Cerco l’armonia perfetta per la mia canzone, inseguendo una chimera distante da tutto.

La vita è storta, bellissima.

Sentimentalmente impotenti (trascurabili mancanze)

È davvero necessario avere qualcosa in comune con chi ci piace, per poter avviare una nuova relazione? Forse è più sensato pensare che ad avere qualcosa in comune tra loro debbano essere le persone che ci piacciono. Se fossero invece le mancanze a fare la differenza? Inestirpabile, l’ostinazione di chi continua a cercare le persone giuste nei luoghi sbagliati (o nei corpi sbagliati). Proviamo a prendere le distanze dal passato, ma poi ricadiamo negli errori di sempre, provando ad affiancarci a un’altra persona – giusta e sbagliata – esattamente come quelle che ci sono state prima. Siamo la somma delle nostre esperienze, successi e fallimenti. Ci piacciono le persone con le quali soffriamo solo per avere qualcuno cui dare la colpa?

Ci ho provato, mille volte e più, a cambiare rotta, ad aggiustare il tiro, a ridimensionare le richieste, senza mai scendere veramente a compromessi; perché la felicità è una sola e non è negoziabile. Con certe persone si genera una strana energia. Frizzante, inebriante, al tempo stesso evanescente. Se ne diventa dipendenti. Si baratta la lucidità per l’emozione. Innovativo sport estremo – ma già démodé – e alla portata di tutti.

Perché sentiamo la necessità di trovare un colpevole contro cui accanirci quando si tratta di esaminare le nostre relazioni? Temiamo un rimprovero? Un monito per le inadempienze? Non ci perdoniamo mai nulla, ma spesso in amore – così come non esistono vincitori e perdenti – non esistono colpevoli contro cui scagliarsi. Si rimane soli, con il tempo a fare da giudice, così inefficacemente neutrale e così inavvertitamente spietato.

Ad accomunare le persone sbagliate – puntualmente fuori luogo – c’è il loro essere inappropriate, il loro essere sentimentalmente impotenti.

E ci siamo noi.

Un ipotetico settembre

Mentre guidavo verso sud, vedevo Milano alle mie spalle diventare sempre più piccola. Con Last Goodbye in sottofondo, sembrava tutto più carico di significato di quanto non fosse, ma allontanarmi da tutto per un po’ – da solo – era un piacere che avevo terribilmente voglia di concedermi. Senza programmi precisi, senza una data di rientro, senza troppa roba nella borsa e senza tutte quelle cose che un tempo mi sarebbero servite per mettere a tacere l’ansia.

Firenze è sempre bella, così come è sempre bello perdersi tra le vie del centro la mattina, quando i turisti sono impegnati a riversarsi verso le sculture di Michelangelo o la fontana del Nettuno in piazza della Signoria. Temperatura perfetta, caffè bollente, una moneta per il sassofonista che suona il tema de La Bella & La Bestia e non manca nulla. Così finisco per ritrovarmi a passare la notte nell’appartamento di quattro studenti che praticamente neanche conosco; dovendo rendere conto solo a me stesso mando a fanculo il perbenismo, la puzza sotto al naso, tutto il resto e chiudo gli occhi.

Per un attimo mi sono tornate in mente le cose lasciate a metà, in attesa di quell’ipotetico settembre che potrebbe poi essere diverso dalle aspettative. Ma tutto sommato cosa importa? Le nuvole dell’Umbria sembrano più grandi, raggruppate alla stessa altezza, quasi a voler incorniciare l’autostrada. Camminare a notte fonda per le stradine di pietra attorno alla Rocca, nella parte alta di Spoleto, è meraviglioso. Mi fermo su una panchina a guardare il resto della città. Da quassù sembra ancora più bella. Salgo le scale di pietra per arrivare all’ingresso dell’appartamento, gustandomi la solitudine: da chiassosa si fa sempre più quieta, fondendosi dapprima con il rumore dei miei passi e poi finalmente con il silenzio.

Riapro gli occhi ed è già mattina. Sono riuscito a organizzare anche qui un pranzo di tutto rispetto per i miei amici. Mentre tagliavo le verdure della stessa dimensione – tra un po’ di tartufo nero e vino rosso – pensavo che se avessimo preparato la crostata di ricotta e cioccolato un giorno prima sarebbe stato meglio. Poi penso che sarà ottima per la colazione di domani. Poi arriva domani e non ne è avanzata nemmeno una fetta.

Riparto, ma lascio indietro i pensieri troppo articolati, la voglia di leggere tra le righe cose che non ci sono, le critiche, le lacrime inutili, le paure infondate e quel fare attendista con cui spesso ci si rivolge al futuro. Mi porto via i sorrisi, la voglia di divertirmi e basta, la sincerità di chi non fa programmi e la genuinità di chi non segue tattiche. Tra nuvole basse, stradine silenziose, il sapore della libertà e quello delle crostate ancora tiepide ma non ho voglia di aspettare, c’è tutto ciò che mi serve per essere felice.

Spoleto

La lettera che avevo detto non ti avrei mai consegnato ma che alla fine ti ho mandato lo stesso

Ogni tanto guardo ancora, fuori dalla finestra.

Ritrovo la tua immagine: sei lì in piedi che mi guardi, mentre sorridi con gli occhi e le labbra. Non so nemmeno se sia successo davvero, o se si sia trattato dell’ennesimo frame rubato alla fantasia.

Ho passato troppe notti domandandomi il perché di quell’interesse ingiustificato nei tuoi confronti. Non mi spiegavo come fosse possibile perdere la testa per qualcuno che a conti fatti nemmeno conoscevo. Poi è stato tutto chiaro. In uno di quei viaggi in auto, sotto alla pioggia, mentre Milano è magicamente immobile, ho capito: non esistevi. Scusami per averti inventato, e per queste parole che ti sto lasciando cadere addosso. Impalpabile, ormai dissipato: è il tempo che abbiamo vissuto insieme. Le storie sospese non nascono e non muoiono.

Ricordo un martedì sera. Ti ho aperto la porta, e senza quasi nemmeno parlare ci siamo baciati, lì, sull’uscio. E poi sul pavimento. Tra i vestiti. Sul marmo freddo della cucina. Ricordo esattamente le tue mani, potrei disegnare il loro percorso su di me, con precisione. Ricordo quella sensazione di euforia spiazzante, nella quale mi piace crogiolarmi ogni tanto. Rimane un dolore, che mi appaga: si impone tra le ore e i minuti senza preavviso, in silenzio.

Ricordo una domenica. Pioveva. O forse non pioveva, ma mi sentivo come quando fuori piove senza sosta, e io sono al sicuro. Ascoltavamo Sade cantare is it a crime?, e qualche candela lasciata accesa per rendere tutto un po’ più cliché come piaceva a me illuminava i margini dei corpi. Il confine tra la mia bocca e la tua si perdeva, mentre imparavamo a fingerci impermeabili al mondo, rimasto fuori insieme alla pioggia, immaginaria o reale che fosse.

Ricordo quando ti ho salutato, trattenendo un pianto che non saprei collocare nella scala degli stati d’animo: forse felicità, paura, o qualcosa a metà tra i due. Ho chiuso a chiave e mi sono voltato, appoggiando la schiena sulla porta, scivolando fino a terra, e restando lì per qualche minuto. Avevo bisogno di sentire la terra sotto ai piedi.

Scorci di un passato ancora non abbastanza remoto. Frammenti di istanti. Bicchieri vuoti. Le tue scarpe vicino al pianoforte. I cuscini per terra. Noi ovunque. Mi bastava. Una parvenza di quotidianità. Un po’ di caffè. Il tuo odore tra le lenzuola. Le frequenze di un’altra voce oltre alla mia negli angoli della casa. Spazi fisici e mentali, riempiti.

Così attraverso un’altra mezzanotte, riempiendo lo schermo di lettere, che sono poi il miglior psicofarmaco, insieme alla musica. Un’orgia di parole che si combinano formando mucchi di pensieri.

Chissà se ricordi ancora il mio nome. Probabilmente sì, perché è come il tuo.

Soli, responsabilmente

Mi stavo domandando: fino a che punto si può arrivare per paura di restare soli? Quali e quanti compromessi siamo disposti ad accettare pur di diventare la metà di una coppia? In un paese dove l’apparenza e la finzione sembrano gli unici ideali condivisi e rimasti validi, come dobbiamo comportarci quando ci troviamo di fronte a una persona che potrebbe essere quella giusta ma che -per una serie di motivazioni il più delle volte sconosciuta- non fa scattare in noi la passione e il desiderio? Siamo abituati a fingere (una simpatia, uno stato d’animo, un appagamento sessuale, etc.) ma siamo capaci di fingere un sentimento? Sembra che essere single per molta gente sia diventato un problema, tra porzioni di surgelati tarate per due, continue offerte di week-end romantici per coppie e inviti a cena da parte di amici sposati che non perdono occasione per provare a piazzarti con qualcuno (o per raccontarti di quanto sarebbe bello poterti piazzare con qualcuno).

La vera domanda credo sia un’altra: stiamo veramente così male da soli? La gente si lascia e si fidanza nuovamente con una rapidità sconcertante, per paura di doversi ritrovare a fare i conti con se stessa, con i propri limiti e con l’incapacità di vivere un rapporto sereno in autonomia. Ma è tanto scontato quanto vero dire che per avere un buon rapporto di coppia bisogna partire da un ottimo rapporto con se stessi. Vanno valutate le alternative. A Milano non c’è molta scelta, ed è complicato trovare qualcuno che ti piaccia e ti faccia scattare la voglia di andare oltre una bella cena o un paio di chiacchiere. La grande scommessa è trovare qualcuno in grado di intrigarti e al tempo stesso appartenente alla categoria giusta, ovvero: ho una buona posizione lavorativa, cultura e interessi validi, vado in palestra, mi tengo bene, sono presentabile e tra le mie intenzioni c’è quella di costruire qualcosa non a scadenza prossima. Di persone sul genere ne sono rimaste pochissime; se pensi che hai avuto la fortuna di conoscerle -e non ti hanno fatto scattare quel non so ché indispensabile per avviare una relazione- non puoi fare altro che sentirti totalmente fottuto. Non tiriamo nemmeno in ballo la possibilità -per altro tutt’altro che remota- che si possa anche non piacere ai cosiddetti soggetti perfetti.

L’altra sera, mentre eravamo fuori a bere, io e Sam ci siamo persi tra domande e statistiche riguardanti le persone giuste e sbagliate. Mentre mi raccontava della sua ultima conquista amorosa -chiedendomi consigli che data la mia millantata esperienza avrei dovuto dispensare con più sicurezza- ci siamo soffermati su un dato interessante. Mi raccontava che su una stima di persone con le quali ha condiviso il letto, circa l’ottanta per cento è composto da soggetti con i quali difficilmente si farebbe vedere in giro, il quindici per cento è la percentuale di gente interessante e che sarebbe valsa la pena frequentare (se solo la cosa fosse stata reciproca) e il restante cinque per cento è quello dei volti da copertina, quelle facce (e quei corpi) che difficilmente dimentichi e che ti fanno sentire una persona fortunata (e arrapata). È davvero quindi tutta una questione di gerarchie? Forse sì, ma non dobbiamo dimenticare che per qualcuno potremmo essere noi i rappresentanti di quel cinque per cento. Quindi si ritorna al punto di partenza: la compatibilità. Se con le persone sbagliate è impossibile creare un qualsiasi legame, e se ormai anche quelle poche giuste rimaste non ci vanno bene, non rimane altro che puntare su un buon rapporto con noi stessi, che è poi un legame inscindibile, nemmeno volendo. Prendiamo in considerazione l’idea di rimanere soli, perché il matrimonio non è per tutti. Figuriamoci l’amore.