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Tag: società

Sentimentalmente impotenti (trascurabili mancanze)

È davvero necessario avere qualcosa in comune con chi ci piace, per poter avviare una nuova relazione? Forse è più sensato pensare che ad avere qualcosa in comune tra loro debbano essere le persone che ci piacciono. Se fossero invece le mancanze a fare la differenza? Inestirpabile, l’ostinazione di chi continua a cercare le persone giuste nei luoghi sbagliati (o nei corpi sbagliati). Proviamo a prendere le distanze dal passato, ma poi ricadiamo negli errori di sempre, provando ad affiancarci a un’altra persona – giusta e sbagliata – esattamente come quelle che ci sono state prima. Siamo la somma delle nostre esperienze, successi e fallimenti. Ci piacciono le persone con le quali soffriamo solo per avere qualcuno cui dare la colpa?

Ci ho provato, mille volte e più, a cambiare rotta, ad aggiustare il tiro, a ridimensionare le richieste, senza mai scendere veramente a compromessi; perché la felicità è una sola e non è negoziabile. Con certe persone si genera una strana energia. Frizzante, inebriante, al tempo stesso evanescente. Se ne diventa dipendenti. Si baratta la lucidità per l’emozione. Innovativo sport estremo – ma già démodé – e alla portata di tutti.

Perché sentiamo la necessità di trovare un colpevole contro cui accanirci quando si tratta di esaminare le nostre relazioni? Temiamo un rimprovero? Un monito per le inadempienze? Non ci perdoniamo mai nulla, ma spesso in amore – così come non esistono vincitori e perdenti – non esistono colpevoli contro cui scagliarsi. Si rimane soli, con il tempo a fare da giudice, così inefficacemente neutrale e così inavvertitamente spietato.

Ad accomunare le persone sbagliate – puntualmente fuori luogo – c’è il loro essere inappropriate, il loro essere sentimentalmente impotenti.

E ci siamo noi.

L’eleganza dell’assenza

Chi non c’è, o meglio ancora chi non esiste, ci fornisce l’alibi perfetto per l’immobilità: del cuore, del corpo e dello spirito. Non possiamo pretendere di riuscire a trovare qualcuno fin quando continueremo a considerare “l’altro” come un’ancora di salvezza, elemento indispensabile per la felicità. L’errore è la visione strumentale del rapporto: grande amor proprio (o forse, un più semplicistico narcisismo) e poco amore per l’altra parte, destinata a essere non un fine ma bensì un mezzo, necessario per condurci a quella parvenza di serenità che altrimenti non sapremmo raggiungere.

È un’ovvietà, ma è così: è più difficile stare bene con se stessi che con qualcun altro. Se non sei sereno tu, come puoi impostare un rapporto a due (o a tre, o a quattro, o più universalmente con l’intera società che ci circonda) veramente sano? Non si può scaricare sulle persone con le quali stiamo l’impegnativa responsabilità del nostro “stare bene”.

La predilezione a rapportarsi con persone irrisolte, irraggiungibili o talvolta addirittura inesistenti (che potremmo anche far rientrare nel girone delle persone sbagliate) è un chiaro esempio del desiderio di sentirsi vivi. Se sei avvezzo alla sofferenza, è rassicurante trovartici in mezzo: ne conosci le dinamiche e muoverti in quel territorio costituisce qualcosa di spaventosamente familiare. Per questo molte persone -dopo essersi liberate di una situazione complessa- riescono a lasciarsi andare solo innanzi a un’altra situazione ancora più complessa e con una prospettiva decisamente poco rosea.

Settimana scorsa una persona mi ha detto: “tu non vuoi essere felice, altrimenti smetteresti di inseguire persone così problematiche e con le quali chiaramente non c’è futuro. Vuoi essere salvato e allo stesso tempo salvare, nell’illusione che chi ti piace possa improvvisamente cambiare grazie a te”. Il desiderio di onnipotenza è abbastanza lampante, e anche la ricerca di quella sofferenza che sa far sentire vivi più di ogni effimera felicità. Ho sempre chiamato tutto questo “fottutissimo romanticismo”.

Soli sì, ma con responsabilità.

Ci piacciono le persone che non ci piacciono perché ci piace l’idea di poterle cambiare

C’è un qualcosa di irresistibilmente perverso nella mente umana, e la determinazione che mettiamo nell’andare alla ricerca di situazioni potenzialmente dannose è da considerarsi come una sorta di masochismo del cuore.

Capita di trovarsi in situazioni assurde, nelle quali ci sentiamo ripetere quanto siamo belli e perfetti, interessanti e dai modi indubbiamente ineccepibili. Lusingati, ma quasi mai del tutto tranquilli, sostituiamo al “lasciarsi andare” un inappropriato controllo su ogni singolo movimento e su ogni singola parola, calibrando bene le frequenze basse della voce e riflettendo sul profilo migliore per accompagnare qualche frase ad effetto facente parte del repertorio delle “cose giuste da dire in quei momenti”. Poi si riprende quel controllo che avevamo finto di perdere -e in mezzo agli orgasmi dell’ego- percepiamo finalmente “l’altro”: distante, diverso, rapito da un’immagine che per quanto ci appartenga, sappiamo bene essere lontana dall’autenticità.

Capita di sentirsi stanchi, di avere una necessità e di non sapere come soddisfarla. Ci concentriamo su chi non ci considera, quando abbiamo magari un buon numero di persone (giuste o sbagliate che siano) disposte a prenderci per mano. Vorremmo andare a dormire con addosso l’odore di qualcuno che non vorremmo mai lavare via. Vorremmo rigirarci tra le lenzuola senza sentire la stoffa fredda di un letto troppo grande per un solo corpo.

Capita di svegliarsi nel cuore della notte con una sola domanda per la testa: ci interessa davvero avere un rapporto a due che ci dia stabilità, oppure ci interessa solo dell’amore? Le due cose purtroppo non sempre vanno di pari passo. Vedo tantissimi rapporti in balia solo di un’idea dell’amore, ma a noi è una cosa che non interessa. Siamo per i sentimenti veri, per quelle sensazioni forti da toglierti l’appetito e da bloccarti il fiato. Non ci interessano i riflessi, ci importa dell’intensità, anche quando potrebbe essere solo l’inizio di un calvario.

Le sensazioni forti scarseggiano, e così, la gente, si accontenta delle persone sbagliate, alimentando -erroneamente- l’idea che -magari con il tempo- queste possano cambiare avvicinandosi al loro ideale. Le persone però non cambiano quasi mai, né per sé stesse, né tantomeno per qualcun altro.

Masturbazione cerebrale di gruppo in luoghi pubblici

Il vero piacere è quello che nasce dal cervello. Le persone godono quando a essere sollecitato è il loro desiderio. La mente è capace di generare il più magnifico degli orgasmi senza che il corpo prenda necessariamente la parte del protagonista indiscusso. Spesso, situazioni potenzialmente rischiose e improbabili, risvegliano il vero punto G radicato in ogni donna e in ogni uomo.

Oggi torno a indagare la razza umana attraverso l’analisi di un comportamento che ho di recente scoperto essere comune in numerosi bagni pubblici di altrettante numerose città europee. Non sono mai stato un bacchettone, eppure non ne sapevo quasi niente. A sfuggirmi, è la genesi del piacere.

Pare che in alcuni non-luoghi non meglio specificati, esista una lista -più o meno nota- di bagni pubblici (stazioni ferroviarie, fermate metro e simili) dove gli uomini possono ritrovarsi per condividere un momento di celebrativa masturbazione -singola- di gruppo. Finisci di lavorare, esci dalla palestra o sei in anticipo sulla tabella di marcia? Vai in bagno, scambi qualche occhiata di intesa, e ti pasticci con il tuo vicino di vespasiano. Non c’è contatto, non ci sono convenevoli, e la cosa non prosegue oltre in alcun modo (pare non succeda quasi mai).

Che tutto ciò sia una metafora del mondo moderno? Ci si relaziona in modo decontestualizzato e subdolo forse per prevenire gli effetti collaterali che il nostro cervello genera dopo episodi potenzialmente -sentimentalmente- dannosi? Si azzera l’aspettativa, ed è tutto desiderio. Che cosa spinge una persona a condividere qualcosa di così intimo (o forse, per nulla) con uno sconosciuto? Magari il branco, il narcisismo di chi “guarda ma senza toccare”, la celebrazione di qualcosa di estemporaneo nel quale non serve prendere posizione (in tutti i sensi), o magari il sapere che non servirà bofonchiare nemmeno mezza parola (che poi è un attimo che dici la cosa sbagliata).

In un ambito “sentimentale”, questo atteggiamento decontestualizzante, non è alla lunga distruttivo? Le persone sono incapaci di comunicare, o hanno semplicemente smesso di volerlo fare perché ormai non c’è più molto da dire (e nessuno cui dirlo)? Il confronto mancato di comune accordo può essere per qualcuno l’eccitante diversivo in un noioso pomeriggio di fine estate, ma continuo a credere che possa anche rappresentare il desiderio nascosto di condividere un poco di quello che si è -o che si ha- senza ulteriori preoccupazioni.

Bastasse una sega in compagnia per demonizzare anni di romanticismo, poesia, arte e sofferenza, forse saremmo tutti più sereni, ma certamente anche molto più ignoranti; e comunque, stazionando pur sempre in un cesso.

Le avanguardie amorose

Non bisogna conformarsi allo schema. Ciò che può essere viatico di felicità per qualcuno, può non esserlo per qualcun altro. Se sei diverso dalla massa, potresti aver bisogno di un sistema alternativo per arrivare alla serenità, e si sa: su questa terra tutti si sentono un po’ speciali. Cosa veramente renda le persone “diverse” resta un mistero, ma la diversità è spesso sinonimo di emarginazione, e utilizzare un linguaggio tutto proprio per muoversi nella società non è sempre vantaggioso. Sembra questa una realtà tanto scontata quanto valida, ma allora perché ci ostiniamo tutti a inseguire le stesse cose?

Non conoscendoci un granché, e non sapendo quindi di cosa abbiamo veramente bisogno, crediamo che quello che vogliono tutti, sia quello che vogliamo anche noi. Così, ci si sposa verso i 30, si fanno dei figli poco dopo, si ambisce a un lavoro a tempo indeterminato e ci si comporta come tutti si aspettano, badando bene a non deludere nessuno. In mezzo a tutto questo baccano -però- ci si continua a sentire speciali, fino a che un giorno -quelli più fortunati- impazziscono finendo per cercare qualche emozione mai prima di allora preventivata.

L’equilibrio lo si raggiunge conoscendo sé stessi, e di conseguenza imparando a capire di cosa abbiamo veramente bisogno, distinguendolo da quello che invece semplicemente “vogliamo”. Quel dogma, può diventare la guida per costruire le tappe di un’esistenza. Un principio, una morale, una legge sempre valida. Non si può pensare di essere speciali scimmiottando al contempo la vita delle altre persone solo perché sembra più facile e più vicina alla serenità. Le persone sono sempre più complesse di quanto sembrino, anche se loro non lo sanno (vedi inizio del paragrafo) ma come gli adolescenti, si sentono speciali quando si comportano tutte esattamente allo stesso modo.

Usciamo dal perverso gioco di una società fatta di relazioni tra persone che hanno molto in comune perché hanno poco da dire; impariamo il valore della coerenza e viviamo con entusiastica creatività la possibilità di costruirci le nostre tappe e le nostre mete senza uniformarci a nessuno. Solo salvaguardando l’unicità dell’individuo potrem(m)o portare a compimento il nostro progetto, che a dirla tutta, comprende sempre la tanto inflazionata parola impunemente sulla bocca di tutti: la felicità.