andreadevis

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Tag: socialità

Infedeli pure a se stessi

L’altro giorno, su segnalazione di un amico, leggevo un articolo riguardo la monogamia. A quanto pare l’esclusività sentimentale sta iniziando a diventare obsoleta. Nel giro di un po’ di tempo -stando a quanto scritto- arriveremo ad avere non più un solo amore, ma tanti amori; dunque svariate relazioni simultanee. Ci troveremo a dover riclassificare la doppietta matrimonio/adulterio, e a riconsiderare ciò che è morale e cosa invece non lo è.

Mentre riflettevo tra una tazza di caffè e il mio portatile, qualcosa non mi tornava.

Troppe persone considerano le relazioni una mera condivisione di un progetto comune con qualche scopata qua e là, coronando poi il tutto con la parola più abusata al mondo, ovvero “amore” (termine per altro troppe volte violentemente ed erroneamente reinterpretato). Ma cosa stiamo dimenticando? È un discorso di fedeltà? Forse più di responsabilità. Responsabilità nei nostri e altrui confronti, e semmai di fedeltà verso i princìpi che seguiamo (qualora questi ci siano). Si sente così spesso parlare di famiglia, che ormai nessuno si concentra più su quello che dovrebbe stare alla base di un’unione, ovvero il rispetto e l’amore. Sarà un concetto mellifluo, ma è così. In troppi fuggono dalle responsabilità (di qualsiasi tipo), dunque non posso fare a meno di domandarmi: le relazioni simultanee, sono solo una banale copertura?

L’amore non è una cosa per persone deboli e facilmente impressionabili. Ci sentiamo soffocare quando qualcuno entra nei nostri spazi vitali, siamo terrorizzati dall’idea di dover spartire qualcosa con qualcuno, abbiamo paura di fare promesse per paura di non saperle mantenere (e di deludere così chi in teoria amiamo): come possiamo non pensare che sia tutta una gigantesca presa per il culo? Le relazioni simultanee di cui parla l’articolo sono un’utopia, ma non solo per una questione morale. Volendo potremmo anche imparare a gestire più amori in contemporanea, rivedendo così il concetto di “matrimonio”, ma sarebbe fatica sprecata. Non giriamoci intorno: in un mondo dove manca la materia prima per dar vita anche a una sola relazione, immaginare di averne addirittura due o tre in contemporanea è pura fantascienza.

 

 

Sesso con-cesso

Avete presente quando dicevo che l’aspetto fisico non conta, che la bellezza è relativa e che l’apparenza dovrebbe essere l’ultima delle preoccupazioni quando si parla di relazioni?

Mentivo.

È capitato a tutti di fare del sesso grandioso con persone che non presenteremmo mai agli amici, o peggio: con le quali non ci faremmo nemmeno vedere in giro. Qui però non si parla né di amore né della capacità di riuscire ad andare oltre la fisicità. Il problema è sempre quello: il giudizio degli altri. Siamo veramente disposti a lasciare che condizioni la nostra vita (sessuale e non solo)? Siamo schiavi dell’apparire, con la bramosia di sembrare quello che non siamo: ovvero semplicemente felici. Questo faticoso lavoro ci toglie l’energia per guardare gli altri con obiettività; se riuscissimo ad andare oltre quella stessa apparenza che inseguiamo, ci renderemmo conto che la gente dissimula, e che la loro felicità è spesso il solo riflesso delle nostre insicurezze.

C’è anche un’altra strana legge che governa le relazioni, da temere in considerazione (il refuso è voluto). Se una bella donna esce con un uomo non esattamente bellissimo, gli altri non pensano che in quella donna ci sia qualcosa che non vada, ma sono portati a pensare che lui abbia qualcosa di speciale (rendendolo così più attraente di quanto non sia e facendolo salire di posizione nella classifica degli uomini papabili); potrebbe essere un amante mozzafiato travestito da sfigato, o un importante personaggio di spicco della finanza internazionale (onestamente, che ne sappiamo noi della finanza internazionale e di chi siano i suoi protagonisti?) o potrebbe essere semplicemente molto ricco. Riflettendoci meglio, la gente potrebbe anche pensare che lei sia una puttana e basta.

Si tratta di ansia sociale, di stress da comunicazione collettiva. Siamo bombardati da continue richieste di condivisione; tutti si sentono in dovere di dire quello che passa loro nella mente, di condividere fotografie inutili, e di raccontare dove si trovano e cosa stanno facendo. Ormai addirittura i pensieri sono sottoposti al giudizio della collettività. Il vero status symbol, è diventato non avere un cazzo da dire e riuscire pure a farlo bene.

Due minuti e vi faccio accomodare

Entro da California Bakery (catena di ristoranti/bar a impronta americana, molto in voga a Milano negli ultimi anni) -visibilmente da solo- e mi sento domandare se vogliamo accomodarci. Mi rivolgo come suggerito a una collega, che mi chiede se vogliamo fare il brunch; subito dopo averle specificato che il tavolo che mi interessa è per una sola persona, mi sorride e mi dice che solo due minuti e intanto vi faccio leggere il menu.

Forse è un problema di Milano -dell’Italia- ma mi sembra che tutti siano concentrati sulla socialità: virtuale o reale che sia, veniamo catalogati a seconda delle persone che frequentiamo. Mi siedo al tavolo e mi guardo intorno: ci sono le cosiddette famiglie tradizionali, le ragazzine adolescenti che starnazzano, le compagnie di gay, le chiassose signore sulla sessantina che si sentono come le ragazzine adolescenti che starnazzano, le moderne mamme per amiche che accompagnano le figlie, gli universitari che temono di finire fuori corso, le coppie tutte bacini e abbracci, le coppie annoiate che ripensano ai bacini e agli abbracci, i colleghi di lavoro che fingono di starsi simpatici con frasi di circostanza, e altre sotto categorie di gruppi sociali non meglio definibili.

Quando stavo a Los Angeles, ricordo che andavo al supermercato e trovavo ottime mono porzioni, perfette per improvvisare una cena davanti al Mac (Machintosh, non Mac Donald) senza interrompere la scrittura. Non mi sentivo un alieno e la gente sola al bar non stava per forza aspettando (o fingendo di aspettare) qualcuno. Ci si guardava e si faceva amicizia, senza necessariamente un secondo fine. Chi scriveva, da Starbucks, amava farsi osservare, alternando vistosi stati d’animo a piccoli sorsi di caffè. C’era quasi una sorta di ritualità, c’era un certo piacere nel fare i solitari, c’era la consapevolezza dell’individualità.

Qui è tutto un puttanaio. Gente che seduta allo stesso tavolo neanche parla e si limita a digitare qualcosa sull’iCoso, ragazzi che anziché sorridere a qualcuno seduto sulla panca a fianco, cercano di scoprire come si chiama per fare una ricerca su Facebook, ragazze pseudo alternative che lanciano tweet come briciole ai piccioni, accompagnate dal rumore degli scatti fotografici per Instagram (tutti improvvisamente grandi fotografi da quando esistono i filtri pre impostati).

L’accanimento che le persone mettono in questo, si riconduce non al piacere per quello che fanno, ma agli altri. Gli altri ci giudicano e ci guardano (o almeno, così narcisisticamente si pensa, sentendosi al centro di ogni attenzione) e dobbiamo quindi dare l’immagine che vogliamo, e che il più delle volte non è altro che una costruzione per coprire la faccia che abbiamo e che ci meritiamo, ma con la quale quasi mai ci sentiamo a nostro agio.

Le periferie dell’amore (battuage all’autogrill parte II)

Ai confini del lecito, a un passo dall’immoralità e decisamente molto prima della consuetudine, esistono le periferie dell’amore; dove l’espressione della sessualità non è altro che una manifestazione primordiale -ma allo stesso tempo complessissima- delle pulsioni che rendono le persone, prima di tutto, degli esseri umani.

Il sesso è un bisogno ancestrale e irrinunciabile; è condivisione, concretezza, conforto e confronto. Per qualcuno è un arrivo, per qualcun altro una partenza, ma indipendentemente dalla considerazione che se ne può avere, è indiscutibilmente qualcosa che fa parte della vita: mangiare, dormire, respirare e amare. Sì, perché il sesso è sempre amore: sia quando è effimero, sia quando è una stabile quotidianità – sia quando lo facciamo egoisticamente per amare noi stessi, sia quando vogliamo solo donarci all’altro.

Anche quando siamo parte di un nucleo, sappiamo solo noi -intimamente- cosa vive il nostro cervello e cosa il nostro corpo ci racconta, ed è per questo che indagare “l’altro” diventa un’attività pressoché paranormale, che può portare a un inesauribile interesse o alla rovina più totale. Non sempre sappiamo cosa vogliamo e non sempre abbiamo voglia di scoprirlo. In una coppia devono esistere delle regole, ma non oltre la porta della camera da letto: tra le lenzuola non deve esserci né limite né imbarazzo. La depravazione che una coppia sceglie di vivere, deve essere la sua normalità: nello spazio dell’intimità, non può esistere pregiudizio se non quello comune, che essendo comune ai soli protagonisti, si annulla automaticamente.

Ogni tanto torno a indagare le pratiche sessuali più diffuse, curiose, bistrattate e obsolete. C’è un autogrill alle porte di Milano -prima dello svincolo A8/A9- dove la sera sembra ci siano strani movimenti: uomini disposti a fugaci incontri di sesso, coppie dalle velleità scambistiche e camionisti alla ricerca di un’ erotica pausa lungo il tragitto che li porterà chissà dove. Non so di preciso cosa accada, e anche se hanno da poco rinnovato l’area di sosta trasformandola in una sorta di lounge room molto bella, il vecchio bagno -adiacente la pompa di benzina- pare ancora attivo, sordido, e illuminato dalla luce dei neon. Chi sono le persone che convergono in questi posti? C’è chi pensa a soggetti dalla scarsa moralità, promiscui e poco inclini all’amare e all’amarsi. Forse è così, ma c’è anche chi cerca una dose di amore non convenzionale, veicolata da un rapido scambio di fluidi organici che non hanno altra destinazione se non i cervelli, alimentando l’illusione che -per un attimo- si possa essere al centro di tutto. Persone disilluse ma desiderose di amare -anche se per poco- qualcuno che non rivedranno mai più, scappando così da tutti quei coinvolgimenti che probabilmente porterebbero soltanto all’ennesima delusione psicologicamente troppo difficile da gestire. Un piacere corporale e animale.

Non importa cosa decidiamo di fare delle pulsioni dell’anima: restiamo indistintamente tutti autentici animali da branco.

Le avanguardie amorose

Non bisogna conformarsi allo schema. Ciò che può essere viatico di felicità per qualcuno, può non esserlo per qualcun altro. Se sei diverso dalla massa, potresti aver bisogno di un sistema alternativo per arrivare alla serenità, e si sa: su questa terra tutti si sentono un po’ speciali. Cosa veramente renda le persone “diverse” resta un mistero, ma la diversità è spesso sinonimo di emarginazione, e utilizzare un linguaggio tutto proprio per muoversi nella società non è sempre vantaggioso. Sembra questa una realtà tanto scontata quanto valida, ma allora perché ci ostiniamo tutti a inseguire le stesse cose?

Non conoscendoci un granché, e non sapendo quindi di cosa abbiamo veramente bisogno, crediamo che quello che vogliono tutti, sia quello che vogliamo anche noi. Così, ci si sposa verso i 30, si fanno dei figli poco dopo, si ambisce a un lavoro a tempo indeterminato e ci si comporta come tutti si aspettano, badando bene a non deludere nessuno. In mezzo a tutto questo baccano -però- ci si continua a sentire speciali, fino a che un giorno -quelli più fortunati- impazziscono finendo per cercare qualche emozione mai prima di allora preventivata.

L’equilibrio lo si raggiunge conoscendo sé stessi, e di conseguenza imparando a capire di cosa abbiamo veramente bisogno, distinguendolo da quello che invece semplicemente “vogliamo”. Quel dogma, può diventare la guida per costruire le tappe di un’esistenza. Un principio, una morale, una legge sempre valida. Non si può pensare di essere speciali scimmiottando al contempo la vita delle altre persone solo perché sembra più facile e più vicina alla serenità. Le persone sono sempre più complesse di quanto sembrino, anche se loro non lo sanno (vedi inizio del paragrafo) ma come gli adolescenti, si sentono speciali quando si comportano tutte esattamente allo stesso modo.

Usciamo dal perverso gioco di una società fatta di relazioni tra persone che hanno molto in comune perché hanno poco da dire; impariamo il valore della coerenza e viviamo con entusiastica creatività la possibilità di costruirci le nostre tappe e le nostre mete senza uniformarci a nessuno. Solo salvaguardando l’unicità dell’individuo potrem(m)o portare a compimento il nostro progetto, che a dirla tutta, comprende sempre la tanto inflazionata parola impunemente sulla bocca di tutti: la felicità.