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Mestruazioni sentimentali

Fa schifo, lo so. Ma è proprio così come deve essere: un lento e schifoso gocciolamento. Le mie frequentazioni sentimentali sono episodi autoconclusivi della durata di una settimana circa, solitamente con poca pubblicità e non necessariamente dai risvolti erotici. Una puntata di chi l’ha visto risolve in genere più enigmi, e a rivelarsi lungimirante risulta inaspettatamente il mio vicino di casa, paladino della scopata senza fronzoli, che non miete vittime e non alimenta illusioni. Intendiamoci: può non rientrare totalmente nel mio stile, ma sono un grande sostenitore delle scopate autoreferenziali. Sarà per quella vena trasgressiva, per un atavico bisogno animale o più verosimilmente per la mancanza totale di ambiguità. Nelle mestruazioni sentimentali, dopo qualche momento di scetticismo, a convincermi è l’entusiasmo dilagante di chi frequento, inaspettato e soprattutto non richiesto. Ed è proprio lì che avviene l’irreparabile, non appena mi lascio andare alla curiosità e alle attenzioni, accennando il mezzo sorriso di chi nonostante tutto ancora ci crede (e meno male).

Un viaggio a Gallipoli, una gita ad Amsterdam, una vacanza in Malesia, il ritorno a Lussemburgo, un salto a Londra per lavoro. E al rientro (quando rientrano) l’assenteismo più totale. Sembra una sceneggiatura di David Lynch. Ma di quelle incazzatissime che scriveva negli anni novanta. C’è abbastanza surrealismo per tutti. Andando in ordine sparso: c’era Mister T. (diceva che sono da sposare), Fabio e la sua incapacità di prendere qualsiasi iniziativa (anche quella degli altri), Alessandro (da mille messaggi al giorno è passato a respingere le mie telefonate, ma è sempre online sulle chat) e poi ancora Guido, che mi ha salutato dicendomi di non sparire (probabilmente voleva battermi sul tempo) e ovviamente il Cinghia: mi ha fatto perdere la testa più di tutti gli altri messi insieme, ma essendo stato chiaro fin dal primo momento riguardo i legami (che aborre) non posso nemmeno sentirmi in diritto di mandarlo a fanculo.

Mentre tra un ciclo e l’altro cerco di recuperare un po’ di equilibrio, aspetto impaziente la prossima frequentazione, per mettere davanti a tutto una sola e semplice domanda: quand’è che parti?

Non si può soffrire per la fine di storie mai cominciate

Che poi, a fare i romantici che camminano per strada con gli occhi rivolti al cielo, prima o poi qualche merda si finisce comunque per pestarla. Penso sia più uno stile di vita, che un’abitudine. Intendiamoci: ci sono voluti anni per conciliare razionalità e romanticismo, e non ho mai pensato si trattasse di una convivenza impossibile, ma a volte mi chiedo dove si collochi il confine tra nuovo romantico e il più semplicistico nuovo coglione.

Il mio profilo Linkedin, è appena stato chiuso. Non aveva ragione di continuare a esistere. Era nato giorni fa, con il solo obiettivo di far giungere le mie avances all’ennesima persona sbagliata: perfetta sulla carta ma con già un’altra storia. Sì, un po’ me ne vergogno. Ma sono uno di quelli che camminano guardando il cielo, e poi si ritrovano puntualmente nella merda. Fanculo il raziocinio, io ci provo sempre.

Non si può soffrire per la fine di storie mai cominciate.

Fanno volare i nostri aquiloni, ci portano in alto e poi tagliano la corda. Complimenti, lusinghe, insinuazioni sessuali e apprezzamenti sparsi dalla testa ai piedi che quasi hai paura ad accettare. Poi però si mettono con ragazzi castani, carini (senza esagerare), gestibili, che con la loro rassicurante mediocrità garantiscono uno stile di vita senza troppe sorprese e dalle poche pretese tutto sommato accettabili.

Beh, vaffanculo. Con il sorriso, s’intende.

Mi concedo questi primi giorni di settembre per un po’ di cazzate. Concedo un po’ di tempo anche a tutte quelle cose rimaste in sospeso con l’alibi dell’estate. Poi basta però. Sono uscito a comperare una bicicletta e sono tornato a casa a piedi, con un sacchetto pieno di scarpe. Io al mio antiquato romanticismo non rinuncio, e ho messo in conto che là fuori potrò anche pestare qualche merda, ma senza dubbio se dovesse capitare lo farò con stile.

 

Gli artisti fanno scelte sincere

È un periodo non troppo diverso da altri già vissuti. Sono lucidamente stanco. Stanco di tante cose, soprattutto di essere lucido, poetico e profetico. Ho smesso di usare Facebook e Twitter circa tre settimane fa. Pensavo sarebbe stato difficilissimo, invece a volte mi sembra quasi di stare meglio. Ho dato un calcio in culo anche al raziocinio, e abbracciato una smodata e insana voglia di impulsività (pur non ipotecando completamente il buon senso). Durante i week-end cerco di uscire: stare a casa a pensare sarebbe come fare bunjee jumping senza elastico. Rifletto sul futuro, sulle priorità. Penso alla mia famiglia e a quello che (non) riesco a fare, per loro e più in generale per tutti quelli cui voglio bene (anche per me stesso, perché tutto sommato mi voglio bene pure io).

Mi metto a fantasticare e non mi freno più: perché tanto se si deve soffrire si soffre comunque. Fare uso di fantasia non è un crimine: è semmai un palliativo, che non procrastina le sofferenze ma le rende più digeribili. Ho programmato per la fine di quest’anno l’uscita del mio primo album: ho trent’anni suonati e forse è arrivato il momento di smetterla di nascondersi dietro il solito leitmotiv non mi sento pronto posso fare di meglio non è come volevo. A trent’anni posso permettermi di scrivere e cantare cose che anche solo cinque anni fa sarebbero risultate ridicole. Non voglio concentrarmi sulle scelte giuste, perché non le so fare e non so nemmeno cosa siano. Gli artisti fanno scelte sincere.

Vediamo se riesco a proseguire su questa linea. Vediamo se -riuscendoci- finirò in un posto migliore.

Transizioni

Ho transitato. Dal segno all’ascendente, mi dicono. Dalla Vergine allo Scorpione, per l’esattezza. Ho accantonato quel poco di razionalità che puntualmente mi riportava con i piedi per terra a favore di un più viscerale sconsiderato e sconclusionato approccio emotivo. Più cuore, poca testa, tanta pancia.

Ho scritto lettere, condiviso pensieri, eliminato ogni filtro. Mi interrogo sul valore della condivisione: viviamo in un mondo dove il concetto di “privato” è diventato obsoleto e relativo. Bisognerebbe restare capaci di distinguere un capriccio da un’esigenza. Ho provato a spartire ragionamenti e sensazioni rimaste per mesi confinate lì, tra cuore testa e pancia. Senza pretese, senza accuse, senza fantasie, senza aspettarmi nulla.

Sono stato presuntuoso. Nel tentativo maldestro di ritrovare me stesso ho perso di vista gli altri. Ma ritrovarsi non serve. Ha più senso imparare a immedesimarsi, imparare a levare quell’alone di magia che dipingiamo attorno alle persone che abbiamo bisogno di sapere migliori di quanto in realtà non siano. Per noi. E basta.

La cultura sentimentale scarseggia. Dedichiamo noi stessi a chi non può capirci. Mancano i mezzi, le strutture, l’intelligenza, l’afflato. Ho scritto versi e aforismi a qualcuno che non conosce il mio alfabeto. Poca intelligenza, tanta paura. Un velo di amarezza, ma senza esagerare. Nessuna lusinga. Rimango bloccato.

Guardo fuori dalla finestra e vedo la neve ricoprire i tetti delle auto.

Amori succedanei e finali alternativi

Ho fatto una cazzata. Eh sì, un’altra. L’ennesima. Viene spontaneo pensarlo. Se ne sentiva la mancanza, in questo periodo carico di inaspettata energia positiva e creatività. Si riprende dunque lo slalom tra ricordi appannati, passioni indecifrabili e utopie varie, mentre la condensa degli amori inespressi appanna gli occhi. Fanculo la melanconia: io sono l’ambasciatore delle lacrime sospese, e delle notti passate a dialogare con il soffitto abbracciando il cuscino. Ci innamoriamo delle persone che non esistono, e quando ce ne accorgiamo, viviamo la realtà delle cose come un tradimento. Ma la colpa è nostra. La loro unica negligenza è stata lasciarci credere che fossero così come le avevamo proiettate nella nostra mente.

Ieri sera sono andato a guardare il suo profilo sul social network. Pessima idea. Non l’ho mai fatto per tutto questo tempo, cosa mi sia saltato in mente proprio ieri sera, mi sfugge. Forse un’indigestione di minchiate, o il forfait improvviso degli ultimi neuroni, che stanchi, hanno pensato bene di non provare nemmeno più a far resistenza. Come possa una semplice fotografia provocare un ridicolo pianto, con contemporaneo (fortissimo) conato di vomito, è attualmente al vaglio di un attento gruppo di esperti in follia umana.

Lo scenario è poi sempre lo stesso: tutti lì a puntarmi il dito contro. È colpa mia: se mi ammalo, se non mi innamoro, se trovo solo persone sbagliate. Me lo dicono i miei amici, me lo dice il mio medico, la mia psicanalista, mia madre, e me lo ha detto addirittura uno sciamano. Io faccio quello risentito rispondendo ma no, e poi alla fine combino qualche stronzata tipo quella di ieri sera. Non sono più un adolescente, e c’è un’età per ogni cosa. Come quando senti dire frasi tipo ho chiuso da poco una storia importante e ora voglio solo divertirmi e pensi possa esserci un senso, ma se ci rifletti capisci che pure quelle sono tutte stronzate. Sarebbe bello avere a disposizione dei finali alternativi, come nei contenuti speciali di certi DVD, dove il film puoi chiuderlo un po’ come ti pare. Ma non si può.

È tutto tempo perso, quello passato nel tentativo di rimuovere dalla memoria del cuore una relazione che ci ha annientati. Non c’è nulla da rimuovere e non c’è nulla che sia rimovibile davvero. La soluzione potrebbe essere un amore succedaneo: un nuovo sentimento, intenso e forte, che impegna la mente e il corpo. Non si parla di rimpiazzi posticci, ma di maturità e coraggio.

Un amore succedaneo può permetterci di ritrovare noi stessi. E magari, anche qualcun altro.