andreadevis

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Tag: serenità

Sentimentalmente impotenti (trascurabili mancanze)

È davvero necessario avere qualcosa in comune con chi ci piace, per poter avviare una nuova relazione? Forse è più sensato pensare che ad avere qualcosa in comune tra loro debbano essere le persone che ci piacciono. Se fossero invece le mancanze a fare la differenza? Inestirpabile, l’ostinazione di chi continua a cercare le persone giuste nei luoghi sbagliati (o nei corpi sbagliati). Proviamo a prendere le distanze dal passato, ma poi ricadiamo negli errori di sempre, provando ad affiancarci a un’altra persona – giusta e sbagliata – esattamente come quelle che ci sono state prima. Siamo la somma delle nostre esperienze, successi e fallimenti. Ci piacciono le persone con le quali soffriamo solo per avere qualcuno cui dare la colpa?

Ci ho provato, mille volte e più, a cambiare rotta, ad aggiustare il tiro, a ridimensionare le richieste, senza mai scendere veramente a compromessi; perché la felicità è una sola e non è negoziabile. Con certe persone si genera una strana energia. Frizzante, inebriante, al tempo stesso evanescente. Se ne diventa dipendenti. Si baratta la lucidità per l’emozione. Innovativo sport estremo – ma già démodé – e alla portata di tutti.

Perché sentiamo la necessità di trovare un colpevole contro cui accanirci quando si tratta di esaminare le nostre relazioni? Temiamo un rimprovero? Un monito per le inadempienze? Non ci perdoniamo mai nulla, ma spesso in amore – così come non esistono vincitori e perdenti – non esistono colpevoli contro cui scagliarsi. Si rimane soli, con il tempo a fare da giudice, così inefficacemente neutrale e così inavvertitamente spietato.

Ad accomunare le persone sbagliate – puntualmente fuori luogo – c’è il loro essere inappropriate, il loro essere sentimentalmente impotenti.

E ci siamo noi.

Un ipotetico settembre

Mentre guidavo verso sud, vedevo Milano alle mie spalle diventare sempre più piccola. Con Last Goodbye in sottofondo, sembrava tutto più carico di significato di quanto non fosse, ma allontanarmi da tutto per un po’ – da solo – era un piacere che avevo terribilmente voglia di concedermi. Senza programmi precisi, senza una data di rientro, senza troppa roba nella borsa e senza tutte quelle cose che un tempo mi sarebbero servite per mettere a tacere l’ansia.

Firenze è sempre bella, così come è sempre bello perdersi tra le vie del centro la mattina, quando i turisti sono impegnati a riversarsi verso le sculture di Michelangelo o la fontana del Nettuno in piazza della Signoria. Temperatura perfetta, caffè bollente, una moneta per il sassofonista che suona il tema de La Bella & La Bestia e non manca nulla. Così finisco per ritrovarmi a passare la notte nell’appartamento di quattro studenti che praticamente neanche conosco; dovendo rendere conto solo a me stesso mando a fanculo il perbenismo, la puzza sotto al naso, tutto il resto e chiudo gli occhi.

Per un attimo mi sono tornate in mente le cose lasciate a metà, in attesa di quell’ipotetico settembre che potrebbe poi essere diverso dalle aspettative. Ma tutto sommato cosa importa? Le nuvole dell’Umbria sembrano più grandi, raggruppate alla stessa altezza, quasi a voler incorniciare l’autostrada. Camminare a notte fonda per le stradine di pietra attorno alla Rocca, nella parte alta di Spoleto, è meraviglioso. Mi fermo su una panchina a guardare il resto della città. Da quassù sembra ancora più bella. Salgo le scale di pietra per arrivare all’ingresso dell’appartamento, gustandomi la solitudine: da chiassosa si fa sempre più quieta, fondendosi dapprima con il rumore dei miei passi e poi finalmente con il silenzio.

Riapro gli occhi ed è già mattina. Sono riuscito a organizzare anche qui un pranzo di tutto rispetto per i miei amici. Mentre tagliavo le verdure della stessa dimensione – tra un po’ di tartufo nero e vino rosso – pensavo che se avessimo preparato la crostata di ricotta e cioccolato un giorno prima sarebbe stato meglio. Poi penso che sarà ottima per la colazione di domani. Poi arriva domani e non ne è avanzata nemmeno una fetta.

Riparto, ma lascio indietro i pensieri troppo articolati, la voglia di leggere tra le righe cose che non ci sono, le critiche, le lacrime inutili, le paure infondate e quel fare attendista con cui spesso ci si rivolge al futuro. Mi porto via i sorrisi, la voglia di divertirmi e basta, la sincerità di chi non fa programmi e la genuinità di chi non segue tattiche. Tra nuvole basse, stradine silenziose, il sapore della libertà e quello delle crostate ancora tiepide ma non ho voglia di aspettare, c’è tutto ciò che mi serve per essere felice.

Spoleto

Puttane a metà

Si tratta di una sorta di limbo, un non luogo sospeso tra la voglia di esplorarsi in una vita diversa e la tacita serenità di un’esistenza che tutto sommato per qualcuno va bene così e non è neanche male. È quello il territorio delle puttane a metà: a metà perché non sempre sanno di esserlo – e se lo sanno – spesso non ne sono felici. Appartengono a un mondo ideale, fatto di parole sbagliate e fraintendimenti melensi, quasi mai casuali. Non è detto che vivano la clandestinità di un tradimento, o la violenza di quelle scopate che poi rimangono lì, appese a una fantasia fino a quando è troppo tardi per pentirsi o per capire che si tratta solo dell’ennesima prevedibile ricaduta.

Mentre camminavo per strada, mi sentivo svuotato di tutto. Con una sorta di immaginaria rivisitata stella di David appuntata sul cuore, a indicare l’appartenenza alla categoria. Mi sono sentito meno nudo altre volte, magari senza vestiti, magari con gli occhi di qualcuno dentro i miei e altrove.

Ho rovistato tra le parole abbandonate, ma non ho trovato nessun’altra definizione. Le puttane a metà vivono sulla scia di una noiosa giornata infrasettimanale, cuciono pezze e rammendano minuti preziosi. A loro non è concesso il lusso della pianificazione, sono sempre pronte e non lo sono mai. Militano tra i soliti abbracci che dicono troppo e quei baci affamati che confondono tutto.

Siamo kamikaze dell’amore, sostenitori di un romanticismo decaduto, masochisti ad ampio spettro.

Pretendo tutto quello che vuoi darmi

È successo all’improvviso, come praticamente accade quasi sempre in questi casi. Stavo sistemando casa. Una razionale distribuzione di oggetti in spazi più o meno predefiniti, con qualche accenno di cambiamento ma senza sconvolgere gli ordini. Erano appesi lì, sul termosifone del bagno: due asciugamani perfettamente piegati e forse ancora probabilmente umidi. Due.

È stato faticoso imparare a destreggiarmi nella confusione degli stati d’animo. C’è voluto del tempo, ma poi alla fine il mio equilibrio l’ho trovato. Da solo. Senza né un uomo né una donna al mio fianco. Una maturità conquistata, e indubbiamente sofferta. Irrinunciabile.

Tante persone cercano di fuggire dalle sofferenze della solitudine rifugiandosi nella coppia; eppure spesso è proprio lì che si patiscono i supplizi peggiori. Nel conflitto tra quello che si vuole, quello che ci si aspetta e quello che si ha. Perché tutti si ostinano a considerare l’amore come una meta, e non come un meraviglioso mezzo per rendere felici le persone che si hanno a cuore? Dovremmo lasciarci vivere dagli eventi e smetterla di essere intransigenti. Dovremmo smettere di avere la presunzione di sapere come siamo davvero e cosa è meglio per noi.

È già notte, non cambierò le lenzuola. Non sposterò gli asciugamani. Metterò i pensieri sul davanzale. Non aspetterò il momento giusto per iniziare ad amare. Inizio da me.

Ed è già giorno

I cuscini sono ancora caldi e le nostre parole stanno tutt’ora riverberandosi negli angoli della stanza. La notte profonda e il mattino si confondono, in un connubio prima di luci e ombre, poi di rumori e vuoti inattesi. Un confine che quasi si fatica a cogliere: ed è già giorno.

Riesci a vivere tutto questo senza indugiare sul bordo dei pensieri e senza pensare alla luce che domani svelerà qualche cosa di me – per te – ancora inedita? Io sì, ho imparato. È costato tutto tanta fatica. Forse tu sei migliore – più scaltro – e poi non hai paura.

Ho aspettato un po’, crogiolandomi sul braciere degli interrogativi che mi fa sentire tanto umano e terreno. Poi ho preso coscienza del fatto che quando qualcuno non ci vuole al proprio fianco è perché magari ha paura. Concentrandosi troppo sulle proprie paure, ci si dimentica di quelle degli altri. Per questo bisogna soffermarsi solo sul presente, sullo stare bene adesso.

È tiepido, questo vento notturno. Quasi mi fa venire voglia di camminare: la città non è muta, ma è quieta.