andreadevis

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Tag: sconosciuti

Non accettare caramelle dagli sconosciuti

Stesso tavolo, solita insalata di sempre, e sguardo rivolto oltre la vetrina che si affaccia sul portico. La Milano della pausa pranzo non cambia mai, con le tante persone pronte a riversarsi nelle arterie di piazza Duomo allo scoccare delle tredici e quella meravigliosa frenesia tipica dei giorni infrasettimanali. Era uno spettacolo che non mi concedevo da tempo, considerati gli orari che faccio a scuola e il lavoro per la rubrica che redigo. Osservare la gente è un passatempo che non potrei mai negarmi. In Italia le persone sono totalmente impreparate sul modo per rapportarsi con gli sconosciuti, al punto che salutare o sorridere a qualcuno per strada o in un bar può risultare una vera e propria stravaganza non necessariamente ben recepita (e sicuramente fraintesa).

Un po’ mi piace credere ai segni del destino, agli incontri fortuiti e al coincidere spiazzante di sensazioni e situazioni. Mi piace pensare che le persone incontrate sul percorso abbiano sempre una loro importanza, anche quando ci affiancano per poco o per nulla. I cambiamenti avvengono (se avvengono) lentamente, proprio mentre ci sentiamo quasi immobili. Poi ci si guarda indietro, rileggendo momenti dapprima giudicati trascurabili, come parte di un processo di trasformazione; piccoli inneschi a orologeria attivatori di processi inconsci, destinati a un’esplosione non necessariamente scenografica.

Ho resistito alla tentazione delle squisite patatine che preparano in questo posto, ordinando semplicemente l’insalata: la scena è tutta sua. Mentre i fagiolini e i pomodori si abbracciano nel piatto, ripenso a quel ragazzo che ho incontrato un paio di volte anche qui: probabilmente lavora in zona. Ciclicamente un incontro: vicino la palestra, sotto al portico, per strada, e non molto tempo fa anche al semaforo vicino casa. Ci guardiamo, ci riconosciamo, non ci salutiamo, e poi ognuno per la propria strada. L’altra sera – non sul presto – mi sono affacciato dal terrazzo per sbirciare il puttanaio lasciato dagli operai che stanno sistemando la via. Abitando a un primo piano piuttosto basso vedo bene le persone che passano. Mi si è profilato all’orizzonte. Stava facendosi un giro con il cane. Finalmente ci siamo parlati. Abita nella via parallela alla mia. Sembrerebbe una persona piuttosto normale, ma non ci giurerei.

Speriamo non lo sia. Proprio come me.

 

Masturbazione cerebrale di gruppo in luoghi pubblici

Il vero piacere è quello che nasce dal cervello. Le persone godono quando a essere sollecitato è il loro desiderio. La mente è capace di generare il più magnifico degli orgasmi senza che il corpo prenda necessariamente la parte del protagonista indiscusso. Spesso, situazioni potenzialmente rischiose e improbabili, risvegliano il vero punto G radicato in ogni donna e in ogni uomo.

Oggi torno a indagare la razza umana attraverso l’analisi di un comportamento che ho di recente scoperto essere comune in numerosi bagni pubblici di altrettante numerose città europee. Non sono mai stato un bacchettone, eppure non ne sapevo quasi niente. A sfuggirmi, è la genesi del piacere.

Pare che in alcuni non-luoghi non meglio specificati, esista una lista -più o meno nota- di bagni pubblici (stazioni ferroviarie, fermate metro e simili) dove gli uomini possono ritrovarsi per condividere un momento di celebrativa masturbazione -singola- di gruppo. Finisci di lavorare, esci dalla palestra o sei in anticipo sulla tabella di marcia? Vai in bagno, scambi qualche occhiata di intesa, e ti pasticci con il tuo vicino di vespasiano. Non c’è contatto, non ci sono convenevoli, e la cosa non prosegue oltre in alcun modo (pare non succeda quasi mai).

Che tutto ciò sia una metafora del mondo moderno? Ci si relaziona in modo decontestualizzato e subdolo forse per prevenire gli effetti collaterali che il nostro cervello genera dopo episodi potenzialmente -sentimentalmente- dannosi? Si azzera l’aspettativa, ed è tutto desiderio. Che cosa spinge una persona a condividere qualcosa di così intimo (o forse, per nulla) con uno sconosciuto? Magari il branco, il narcisismo di chi “guarda ma senza toccare”, la celebrazione di qualcosa di estemporaneo nel quale non serve prendere posizione (in tutti i sensi), o magari il sapere che non servirà bofonchiare nemmeno mezza parola (che poi è un attimo che dici la cosa sbagliata).

In un ambito “sentimentale”, questo atteggiamento decontestualizzante, non è alla lunga distruttivo? Le persone sono incapaci di comunicare, o hanno semplicemente smesso di volerlo fare perché ormai non c’è più molto da dire (e nessuno cui dirlo)? Il confronto mancato di comune accordo può essere per qualcuno l’eccitante diversivo in un noioso pomeriggio di fine estate, ma continuo a credere che possa anche rappresentare il desiderio nascosto di condividere un poco di quello che si è -o che si ha- senza ulteriori preoccupazioni.

Bastasse una sega in compagnia per demonizzare anni di romanticismo, poesia, arte e sofferenza, forse saremmo tutti più sereni, ma certamente anche molto più ignoranti; e comunque, stazionando pur sempre in un cesso.

Ci piacciono le persone in auto perché ne vediamo solo un pezzo

Quante volte, sfrecciando sull’autostrada e volgendo lo sguardo alla nostra sinistra (o anche destra) ci è capitato di vedere alla guida di un’altra auto qualcuno di affascinante, intrigante e tremendamente sexy? Tante, tantissime volte. L’altro giorno, mentre percorrevo la A8, mi sono domandato se l’amore non funzioni proprio come con gli sguardi repentini oltre il finestrino.

Quando ci si innamora a vent’anni, non ci sono i mezzi per leggere veramente qualcuno fino in fondo; così si finisce per considerare il centro del nostro amore come il centro di ogni cosa, e quella persona diventa improvvisamente un’ambizione, un idolo invincibile e senza debolezze. È comprensibile e quasi accettabile che ciò accada. Quando cresci capisci che le persone -non ha importanza quale ruolo queste ricoprano nella tua vita, dai genitori, agli insegnanti fino ai partner- non sono invincibili e sono esattamente come te; sono persone. Questa preziosa chiave di volta apparentemente accessibile a chiunque, può farti capire che idolatrare qualcuno è inutile quanto controproducente. Solo imparando a considerare i limiti di qualcuno si può amare davvero, e forse, in maniera veramente “utile”, ammesso che questo termine in questo ambito sia concesso.

La paura per gli sconosciuti limiti dell’altra persona, è una di quelle cose che fanno diffidare dell’amore. C’è gente che sostiene di vivere benissimo senza la necessità di amare e sentirsi amata, imbrogliandoci tutti ma finendo poi in sentimentalismi improvvisi alimentando il leitmotiv “certe cose accadono quando meno te le aspetti”.

Io ne ho già scritto, e continuo ad essere stanco di aspettare che accadano le cose che accadono quando meno te le aspetti.

Al cuor non si domanda, però ogni tanto un paio di cose vorrei proprio chiedergliele. Non lo si conosce mai abbastanza, il cuore; io del mio ad esempio so che si contrae circa 72 volte in un minuto e che ha un blocco di branca sinistra: non so se funzioni come per gli emisferi del cervello -dove quello destro rappresenta indicativamente il “femminile” e quello sinistro il “maschile”- ma se così fosse, dovrei fare i conti con una parte organizzativa, maschile, pratica e razionale, totalmente inesistente, fottuta dal blocco permanente della branca.

Non ci avevo mai pensato.