andreadevis

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Tag: rassegnazione

È un anno che (non) ti conosco

È un anno che non ti conosco e sono ancora qui a pensare che se tu avessi conosciuto me per primo, ti sarebbe venuta voglia di farti conoscere. Penso all’insolito, all’insoluto.

Stamattina mi sono svegliato un po’ triste, ed era tanto che non succedeva. Sarà perché proprio oggi è un anno esatto che (non) ti conosco. È quasi passato un anno anche da quella cena che non c’è mai stata, ma che nonostante tutto mi è rimasta sullo stomaco. Indigesta, la nostra (non) frequentazione.

Oggi sole, niente pioggia. Niente posso darti un bacio? o stupefacenti ho capito come eri dal modo in cui mi hai abbracciato, niente di niente. Penso al mare, alla spiaggia che non abbiamo mai visto, nemmeno a settembre. Penso a quando ho camminato a piedi nudi, con il costume azzurro, quello ancora sporco di sabbia, nel tuo salotto. Penso che sicuramente non te ne ricorderai, ma è un anno che (non) ti conosco.

Ti rendi infelice in minima parte. In quella parte di onesta omertà sessuale mi contempli. Lasci suonare il campanello, cadono i vestiti, insieme alle inibizioni e alle inopportune contraddizioni di una vita intera.

Mi domando

Mi domando che senso abbia girovagare nella notte alla ricerca di risposte che non si trovano in nessun luogo. Strade semi deserte ma non abbastanza silenziose da alimentare l’idea che siano tue. Un appuntamento ormai consueto, quello con la Milano d’agosto, che diventa tutta un presuntuoso abbassarsi di saracinesche e un fuggire via da una vita che non piace (ma senza farsi troppe domande sul perché sia così).

Mi domando quale sia il senso di tante frasi lasciate a metà, di tanti baci dati ma poi dimenticati, e di quegli abbracci presi anche se più per rassegnazione che per desiderio. Mi chiedo che senso abbia cercare di essere qualcun altro, quando forse sono gli altri a non andare bene. Mi chiedo quale senso ci sia in quell’inquietudine alla quale ho regalato troppe notti, e se siano serviti i rimproveri della coscienza.

Mi domando quale sia il senso delle tante persone che hanno gravitato intorno alla mia vita; il senso di quelle per le quali ho versato preziose e immeritate lacrime, il senso di quelle che ho dimenticato, di quelle che mi hanno dimenticato, e di quelle che ho finto di dimenticare senza riuscirci mai davvero.

Chi soffre di elucubrazione precoce?

Viviamo in un periodo storico nel quale la gente non ha più voglia di affezionarsi. Vita sociale, musica, luoghi, relazioni: tutto è in balìa del momento, della moda. Gli adolescenti si affezionano agli “idol” pronti però a cambiare il centro dei loro interessi non appena un nuovo faccino calca le scene. Pensavo alla musica, e a quanto sia difficile crearsi un pubblico che non tradisca. Si sente spesso dire “lui non mi piace ma qualche canzone è carina”; troppo facile: se fosse possibile prendere solo una parte delle persone che ci piacciono, sarebbe estremamente tutto semplice. Ma possiamo permetterci di fare questa scissione di cosa ci va e cosa non ci va solo in certi ambiti. Il locale tanto carino dove andare a bere -per quanto carino possa essere- è subito accantonato per verificare se altrove non ci sia di meglio, in un costante inseguimento alla ricerca di chissà cosa.
Mi guardo intorno: tutto è diventato facile anche tra le persone. Non c’è più seduzione, non c’è più impegno, non c’è più conquista, non c’è più né un prima né un dopo. Il vacuo spirito dell’approssimazione è il filo conduttore dell’esistenza di molti. È come se tutti avessero preso troppo alla lettera il leitmotiv “vivi alla giornata”, e nessuno pensi più a chi è stato e a chi vorrebbe essere. Una sorta di profonda rassegnazione alla solitudine guida le masse, che senza rendersene conto, vivono sulla scia effimera della temporaneità dell’incontro.

Che merda.

Ci sono persone che impiegano una vita per dimenticare qualcuno e persone che vivono una vita con qualcuno di cui si sono dimenticate da tempo

Mi rifiuto di credere che la verità stia nel mezzo, perché si sa: la felicità non accetta compromessi, ed è tale solo quando è pura, autentica e sincera. Nella vita, e nelle relazioni tra le persone, tanti sono i dettagli che creano confusione e che si mescolano facendo perdere di vista il prezioso confine che separa gli elementi. Sentimenti, passioni, ambizioni, pulsioni, simpatie… sensazioni vicine come sinonimi, ma lontane e dispersive come parole straniere delle quali non conosciamo il significato.

È addirittura quasi inutile provare ad addentrarsi tra i meccanismi di una coppia (a meno che tu non ne faccia parte) e capire come sia fatto il motore di un amore pare un’impresa impossibile. Ci sono coppie che durano per vite intere e coppie che scoppiano solo dopo pochi anni. Esiste una gavetta nell’amore? Quello che viviamo ci rende più saggi o soltanto più vecchi? L’esperienza maturata nel corso di una relazione, è utile per le relazioni future o rimane fine a sé stessa e alla relazione da cui origina?

A volte guardo chi è un pezzo davanti a me e mi domando da cosa la sua vita sentimentale sia sorretta: esasperazione? Paura? Cecità? Rassegnazione? Amore? Affetto?

L’amore è uno solo ma i modi di viverlo sono tanti quante sono le persone. Ci sono amori intensi e travolgenti che qualcuno non avrà mai la possibilità di vivere, restando nell’illusione che il tanto agognato sentimento sia quell’insieme di strane sensazioni che prova senza troppo slancio. Essere amati è meraviglioso, e amare è un privilegio di cui pochi sanno godere.

So di persone che hanno impiegato una vita per dimenticare qualcuno (facendo intanto altro ma senza riuscirci mai) e so di persone che continuano a vivere la loro vita con a fianco qualcuno di cui si sono dimenticate da tempo, magari tra taciti accordi e una routine scambiata per serenità. So di persone che fanno di tutto per riavvicinarsi ad altre, senza però pronunciare le uniche parole capaci di far pensare: siamo ormai negli anni 10 ed è ancora tanto difficile pronunciare un fermo e granitico “ti amo”.

Ancora un minuto e poi mi alzo.

E’ un appuntamento silenzioso e irrinunciabile. E’ un momento di condivisione e anonimato; un sodalizio, un matrimonio muto. Non ne conoscono le ragioni, ma compiono un viaggio verso la medesima meta. Vivono con la stessa impazienza e rassegnazione il tempo che si dilata tra le rotaie. Soffrono insieme il silenzio che ingoia i pensieri, sopportando la puntualità tradita. Sono le persone del treno.

Ognuno -negli anni- ha imparato a conoscere e interpretare gli sguardi degli altri. Sul primo vagone di un treno semivuoto si siedono distanti, mentre si corre verso la città che si sveglia.

“Ancora un minuto e poi mi alzo”, ripeto mentre il cervello -già al lavoro- cerca sugli scaffali della dispensa della mente un buon motivo per aprire gli occhi.

“Ancora un minuto e poi mi alzo”: il cervello manda quindi uno stimolo, l’occhio risponde, gli arti accennano un movimento. Tra pochi istanti sarà il futuro. Ci si domanda cosa accomuni quelle persone. Chi diventano quando arrivano al capolinea?

“Ancora un minuto e poi mi alzo”. Il pavimento è gelido. I miei piedi stabiliscono il contatto con la realtà: su di loro si reggerà un’altra giornata e un’altra ancora.

“Ancora un minuto e poi mi alzo”. Ecco che davanti allo specchio lascio che dalle palpebre scappi uno sguardo. Si traccia il profilo, lo so contestualizza, lo si incarna. Esco di casa cercando di assomigliare all’immagine di me stesso.

Aspetto sulla banchina, illuminato dai lampioni che fanno compagnia alla notte.

Ci sono persone che tutto sommato imparano ad amarsi nel silenzio. E’ strano il modo in cui entrano nelle nostre vite; o forse non ci entrano per niente: siamo noi che trasciniamo con forza nel nostro mondo l’immagine tiepida che ci concedono di loro.