Primavera
Distese
Di papaveri, sottili, incauti
Ai bordi di strade senza nome, dimenticate ma percorse
Ostinati, ritornano, per coprirsi di nero
Puttane, di notte, contemplano
Nel buio, forme indefinite di amore
Distese
Di papaveri, sottili, incauti
Ai bordi di strade senza nome, dimenticate ma percorse
Ostinati, ritornano, per coprirsi di nero
Puttane, di notte, contemplano
Nel buio, forme indefinite di amore
Ieri notte. Milano irriconoscibile. Poteva essere una qualsiasi altra città. Ho fatto su e giù per il viale almeno un paio di volte, prima di rendermi conto che lo stavo percorrendo nella direzione sbagliata. Il corpo mi spingeva altrove, lontano.
E poi l’ansia, la paura, le domande fatte senza sapere perché, i piedi che non trovano più il terreno, le mani che si riempiono e le teste che si svuotano. In ginocchio, entrambi, dopo sguardi repentini impossibili da domare, gli occhi sono caduti negli occhi. Per tre secondi, una possessione. Gassosa, evanescente, decisamente impalpabile. Felice, ne porto gelosamente addosso lo strascico.
Ho camminato fino alla mia auto. I ristoranti con le saracinesche abbassate ma con le luci ancora accese. La coppia davanti al portone. Il taxi fermo in mezzo al viale. La puttana in fondo alla strada, sorride da sola. Il cane senza guinzaglio. La stazione deserta.
Tre secondi, L’orgasmo del cuore.
Unioni civili. Sì.
Ma la verità è che alla maggior parte dei gay non interessa sposarsi, quanto più l’idea di poterlo fare. Siamo circondati da persone incapaci di gestire il profilarsi di una relazione, figuriamoci se credo alla cazzata che qualcuno voglia prendersi la responsabilità del doversi impegnare in un matrimonio (o succedaneo).
Tutto sommato, questo non è altro che il mio specchio; Riflette una realtà deforme, dai contorni sfocati e dagli indefinibili capitoli di sottotesto che non ho nemmeno più voglia di scrivere. Perché si sa: ci si innamora delle perversioni (fisiche o mentali, non c’è confine) ma si è sempre pronti a prenderne le distanze nel momento in cui iniziano a invadere quella rassicurante placenta che chiamiamo quotidianità.
Ti fanno sentire una puttana, e inavvertitamente diventi la loro trasgressione. Con cui stare bene, con cui essere se stessi. Oltre le domande, tra le lenzuola, in mezzo agli impegni, oltre le richieste. Ci si può innamorare senza avere il peso di doverlo dire. Innamorarsi di una puttana, imparare a stare bene, correre a sposare una santa.
Quindi sorrido, nella speranza, un giorno, di poter anche io “incastrare” uno di quei brillanti e fighissimi quarantenni nei quali inciampo scorrendo la lista delle ultime chat di WhatsApp. Paladini di diritti di cui non usufruiranno mai.
È caccia aperta.