andreadevis

singer / songwriter / vocalcoach

Tag: psicologia

Tra un po’, o forse domani

Sono uscito di casa abbastanza presto, questa mattina. Ammucchiati ai lati della via – ancora lucidi – i sampietrini aspettano le mani degli operai, che con precisione certosina comporranno la scacchiera stradale. Provo a costruire anche io la mia strada, e come un mantra – da qualche tempo a questa parte – mi ripeto che la cosa davvero importante è saper guardare. Mi ritaglio un po’ di tempo, mi concentro sulle cose che voglio, le rendo vivide, le osservo. Non tarderà ad arrivare il momento in cui potrò – semplicemente allungando la mano – toccarle. Mi fermo e costruisco un mondo in cui la mia felicità non è un trofeo del quale compiacermi, ma bensì uno strumento per rendere felici coloro che amo.

La piazza di una qualche città europea: tanta luce e mani che si stringono inavvertitamente senza volersi poi più lasciare. Un giardino pieno di onestà e persone sincere. Un aereo diretto chissà dove, e un abbraccio ad alta quota con gli occhi semi chiusi. Bambini senza pensieri. Cani euforici e gatti appollaiati all’ombra che fingono di dormire. Semifreddi al mascarpone con il cacao sopra. Il cielo rosa e viola come quando avevo otto anni. Poi il mare. I raggi del sole che filtrano tra le fessure delle persiane. I cuscini freschi e il respiro caldo. Le mie braccia intorno al suo collo. Le canzoni. Sedermi sul tavolo. Un’altra casa e magari anche un’altra vita.

Tra un po’, o forse domani.

La consapevolezza di chi non torna

È un martedì mattina travestito da domenica di primavera, con il sole, la strada deserta, quindici gradi e tutto il resto. Mi immergo fino a pochi millimetri dal naso nell’acqua calda della vasca e spio tra le persiane della finestra che da sulla via principale. Rubo un’immagine al mio passato, quello stesso passato che cerco di dimenticare ma nel quale finisco per crogiolarmici sempre. Che puttane, le lacrime! Ho scoperto che però puoi affogarle nell’acqua della vasca senza grandi sforzi. Bisogna solo immedesimarsi un po’ di più negli altri, ed essere meno egocentrici. Se qualcuno non torna, è perché non vuole tornare. Quante volte hanno provato a far tornare me, sui miei passi? Svariate.

Chi non torna è consapevole della sua scelta. Smettiamola di rompergli i coglioni.

L’eleganza dell’assenza

Chi non c’è, o meglio ancora chi non esiste, ci fornisce l’alibi perfetto per l’immobilità: del cuore, del corpo e dello spirito. Non possiamo pretendere di riuscire a trovare qualcuno fin quando continueremo a considerare “l’altro” come un’ancora di salvezza, elemento indispensabile per la felicità. L’errore è la visione strumentale del rapporto: grande amor proprio (o forse, un più semplicistico narcisismo) e poco amore per l’altra parte, destinata a essere non un fine ma bensì un mezzo, necessario per condurci a quella parvenza di serenità che altrimenti non sapremmo raggiungere.

È un’ovvietà, ma è così: è più difficile stare bene con se stessi che con qualcun altro. Se non sei sereno tu, come puoi impostare un rapporto a due (o a tre, o a quattro, o più universalmente con l’intera società che ci circonda) veramente sano? Non si può scaricare sulle persone con le quali stiamo l’impegnativa responsabilità del nostro “stare bene”.

La predilezione a rapportarsi con persone irrisolte, irraggiungibili o talvolta addirittura inesistenti (che potremmo anche far rientrare nel girone delle persone sbagliate) è un chiaro esempio del desiderio di sentirsi vivi. Se sei avvezzo alla sofferenza, è rassicurante trovartici in mezzo: ne conosci le dinamiche e muoverti in quel territorio costituisce qualcosa di spaventosamente familiare. Per questo molte persone -dopo essersi liberate di una situazione complessa- riescono a lasciarsi andare solo innanzi a un’altra situazione ancora più complessa e con una prospettiva decisamente poco rosea.

Settimana scorsa una persona mi ha detto: “tu non vuoi essere felice, altrimenti smetteresti di inseguire persone così problematiche e con le quali chiaramente non c’è futuro. Vuoi essere salvato e allo stesso tempo salvare, nell’illusione che chi ti piace possa improvvisamente cambiare grazie a te”. Il desiderio di onnipotenza è abbastanza lampante, e anche la ricerca di quella sofferenza che sa far sentire vivi più di ogni effimera felicità. Ho sempre chiamato tutto questo “fottutissimo romanticismo”.

Soli sì, ma con responsabilità.

Le persone straordinarie non sono necessariamente quelle giuste

C’è una bella differenza tra un rapporto “possibile” e uno “straordinario”. Quante frasi piene di virgolette, quante cose dette prendendo le dovute distanze dal significato più profondo, quanta superficialità. Eppure l’equilibrio ideale è quello che si muove nei centri, è quello che si ottiene evitando accuratamente gli altissimi e i bassissimi, che poi finiscono per essere solo la prima causa dello stress. In un rapporto tra due persone straordinarie c’è molto, forse troppo. Un rapporto straordinario è fatto di picchi di passione incontrollata e bassissimi livelli di rispetto. Un rapporto del genere rapisce la tua mente, il tuo cuore e il tuo corpo. Un rapporto straordinario è un rapporto molte volte semplicemente malato, e che non potrà mai guarire. Non ci si può sottrarre dalla straordinarietà di quel sentimento che lega indissolubilmente due persone, se non con un gesto estremo, impegnativo e profondamente voluto. Bisogna imbrogliarsi, per andare oltre -e senza scadere nella mediocrità- trovare il giusto equilibrio, rinunciando agli altissimi e i bassissimi. Bisogna ridurre la frequenza, trovare qualcuno con cui stare in sintonia. Le persone straordinarie sono irresistibili, pericolose, irrinunciabili, ma logorano la quotidianità, e lungo andare, va sempre a finire che non ci si riconosce più. Con una corazza di straordinarietà sopra l’epidermide, è tutto più difficile. Cerchiamo di sedurre qualcuno che ci piace, ma l’unico risultato sono due occhi spaventati che non si sentono mai alla nostra altezza. Proviamo a lasciarci coinvolgere in un abbraccio, ma la straordinarietà ci porta lontano, fino all’analitica freddezza di un semplice e banale gesto che non completa. Un complimento diventa solo una minaccia, e ci fa sentire ancora più distanti, inaccessibili a noi stessi e a chi vorremmo invece far arrivare al nostro cuore, ormai rassegnatamente invalicabile. Ci rendiamo così conto di essere in alto, oltre; siamo straordinari, ma le persone straordinarie non sono quasi mai quelle giuste.

Vermi solitari che vorrebbero compagnia

Quando definiamo qualcuno “troppo per noi” cosa intendiamo veramente? In una città come Milano, dove tutti si credono speciali, niente è mai troppo, e si pone il proprio ego al centro di tutto. Forse una persona troppo complessa e dalla personalità ingombrante, diventa sbagliata quando ci rendiamo conto che vorremmo qualcosa di più lineare, di più vicino alla serenità, di più immediatamente accessibile; troppo stanchi e orgogliosi per ammetterlo, confondiamo il tutto con la modestia e ci buttiamo su quelle persone che definiamo incompatibili solo per sfoggiare una banale giustificazione alla nostra indolenza sentimentale.

Facevo un calcolo di compatibilità e di probabilità. Ci sono tanti italiani medi, che nella media, possono con mediocrità trovare nella massa -in maniera più o meno semplice- una dolce metà, simile a loro, con la quale stare. Cosa succede quando sei sopra la media? O sotto? Diventa tutto più difficile e trovare qualcuno compatibile è un’impresa, soprattutto se non sai dove andare per stringere nuove amicizie. Quali sono i luoghi d’aggregazione dove possono accadere le cose che accadono quando meno te le aspetti? Probabilmente sono quei luoghi che non ti aspetti; probabilmente sono i luoghi della mente che troppo poco spesso frequentiamo. Sento di persone che conoscono altre -a detta loro interessantissime- persone nei luoghi più impensati, tant’è che inizio seriamente a pensare che il problema sia dei miei occhi: capaci di vedere soltanto l’irraggiungibile. Ma anche questa è tutta una scusa: forse per rimanere dei solitari, forse per paura di altre cicatrici, o forse semplicemente perché conoscere e indagare le persone è qualcosa di tremendamente complesso, impegnativo e faticoso; come si può farlo con gli altri, quando è già così complicato capire sé stessi?