Comete come te
Ce ne sono state, di comete come te. Luminose, evanescenti, probabilmente inutili.
Milano frizza, all’ora di pranzo. Il solito viavai, i tavolini sovraffollati di qualche bar, tante chiacchiere ad alto volume ma a basso contenuto. In proporzione variabile: il rumore delle tazzine del caffè, lo spiffero della porta che si apre, cose così.
Passano gli anni e continuo a gustarmi la solitudine. Ho imparato ad apprezzarla quando ero molto piccolo, e l’ho custodita gelosamente anche quando condividevo la quotidianità con un altro uomo. È foriera di tante cose, ma chi ne ha paura la considera solo un timore da celare, il sintomo di qualcosa da cui è meglio guardarsi bene.
Osservo, seduto rivolto verso la vetrina, ripensando senza rancore, senza pentimento, con un leggero retrogusto di nostalgia. Una vita fa, che poi era ieri. Beata solitudo, sola beatitudo. Per quanto abitudinario, non ho mai smesso di aver voglia di fare la mia conoscenza. Nella rassicurante linearità di una vita fatta di certezze, e di un margine di approssimazione che mi sono voluto concedere (perché poi non si sa mai).
Ce ne sono state, di comete come te. Gente lasciva, che lascia una scia, generalmente generata per disperdersi nell’ambiente dopo l’uso. E qualche volta ci provo anche, a travestirmi col cinismo. Una manciata di melensi e prevedibili cliché mi riporta alla mia natura. Sguardi, magari addirittura fiori, parole dette al momento giusto e un difficilmente collocabile romanticismo post moderno.
Meno male. Forse la solitudine ci insegna a non tradirci mai, a restare fedeli ai desideri. Nessuna contaminazione. Nessun patriottismo psicologico, per rivendicare l’appartenenza a una casta invidiabile invisibile inafferrabile inutile.
Ce ne saranno anche state, di comete come me, tenute a debita distanza da tutto. Con l’ambizione di potersi definire speciali e pronte a sacrificare quasi qualsiasi cosa per far parte della quotidianità di chi non lo è affatto.