andreadevis

singer / songwriter / vocalcoach

Tag: personalità

Comete come te

Ce ne sono state, di comete come te. Luminose, evanescenti, probabilmente inutili.
Milano frizza, all’ora di pranzo. Il solito viavai, i tavolini sovraffollati di qualche bar, tante chiacchiere ad alto volume ma a basso contenuto. In proporzione variabile: il rumore delle tazzine del caffè, lo spiffero della porta che si apre, cose così.

Passano gli anni e continuo a gustarmi la solitudine. Ho imparato ad apprezzarla quando ero molto piccolo, e l’ho custodita gelosamente anche quando condividevo la quotidianità con un altro uomo. È foriera di tante cose, ma chi ne ha paura la considera solo un timore da celare, il sintomo di qualcosa da cui è meglio guardarsi bene.

Osservo, seduto rivolto verso la vetrina, ripensando senza rancore, senza pentimento, con un leggero retrogusto di nostalgia. Una vita fa, che poi era ieri. Beata solitudo, sola beatitudo. Per quanto abitudinario, non ho mai smesso di aver voglia di fare la mia conoscenza. Nella rassicurante linearità di una vita fatta di certezze, e di un margine di approssimazione che mi sono voluto concedere (perché poi non si sa mai).

Ce ne sono state, di comete come te. Gente lasciva, che lascia una scia, generalmente generata per disperdersi nell’ambiente dopo l’uso. E qualche volta ci provo anche, a travestirmi col cinismo. Una manciata di melensi e prevedibili cliché mi riporta alla mia natura. Sguardi, magari addirittura fiori, parole dette al momento giusto e un difficilmente collocabile romanticismo post moderno.

Meno male. Forse la solitudine ci insegna a non tradirci mai, a restare fedeli ai desideri. Nessuna contaminazione. Nessun patriottismo psicologico, per rivendicare l’appartenenza a una casta invidiabile invisibile inafferrabile inutile.

Ce ne saranno anche state, di comete come me, tenute a debita distanza da tutto. Con l’ambizione di potersi definire speciali e pronte a sacrificare quasi qualsiasi cosa per far parte della quotidianità di chi non lo è affatto.

Emanciparsi non significa diventare un’altra persona ma migliorare sé stessi

A volte mi domando se non sia tutta colpa delle lacrime. Le lacrime scese per un amore passato, o le lacrime scese di nascosto dal mondo durante un momento di solitudine tutto sommato conquistato con troppa facilità. Le lacrime arrugginiscono gli occhi, e non ci permettono di guardare oltre. Restiamo accecati dalla delusione e dalla paura, restando fermi di fronte al mondo che continua a girare e a dare possibilità ad altri – ad altri che le sanno cogliere meglio di noi.

Ho sempre vissuto nel terrore del tempo: sfugge tra le dita, e c’è sempre un motivo valido per rimproverarsi di qualche cosa fatta, non fatta, fatta male, o fatta troppo tardi.

La ricerca dell’amore è un’abitudine, e in una città come Milano -dove tutti si sentono speciali e al centro di tutto- è difficile imparare ad amare qualcuno oltre sé stessi; spesso ci si lamenta per la mancanza di uomini o donne validi, ma poi non si fa nulla per diventare noi in primis una persona migliore.

A volte vorremmo che parte migliore di noi, fosse qualcun altro.

Lasciare entrare e uscire le persone da sé stessi / Entrare e uscire dalle persone

Asfalto che si sgretola come ghiaccio secco sotto ai piedi, guanti irrimediabilmente spaiati persi sulla strada, stelle di Natale che paiono dipinte con smalti acrilici di bassa qualità. Il sole caldo si scontra con il freddo tagliente che fa sanguinare le dita. Mentre la natura e la città vivono le loro contraddizioni dicembrine, io cammino.

Mi guardo intorno e vedo tante persone: che cosa le lega veramente? Cammino e penso ai legami, agli intrecci e ai rapporti. Rapporti sentimentali, sessuali, amicali, superficiali, di convenienza, di convivenza e di convalescenza. Ascolto la gente: tutti vantano un ristrettissimo numero di amici “veri”. Chi sono quindi gli altri? Chi sono i falsi amici? Quando studiavo inglese, i falsi amici erano i termini morfologicamente somiglianti ad altri ma sostanzialmente diversi. I conoscenti sono quindi personaggi che somigliano ai nostri amici “veri” ma che poi sostanzialmente non lo sono? Un falso amico, può diventare “vero”? Lascio perdere le domande e continuo a camminare.

Si chiama tessuto sociale ed è quindi -per coerenza linguistica- costituito da una trama. Nei rapporti che noi tentiamo di intrecciare, quanta fatica siamo disposti a sopportare pur di diventare parte integrante del tessuto? Abitudini, aspirazioni, frequentazioni… le variabili sono infinite. Ci vuole spirito di adattamento. La città è un perfetto esempio non-umano: lei ospita dentro di sé persone diverse -le fa vivere, crescere e morire- non muta la sua anima, ma adatta il suo aspetto. Entrare e uscire dalle vite degli altri può essere un compito faticoso, l’importante è farlo con la consapevolezza: prodotto che non si compra e che pare sempre più unicamente destinato a un’élite.

Mentre cammino, penso all’autorità individuale. Io, affronterò l’esistenza senza farmi condizionare da presunti e presuntuosi assiomi, vivrò gli intrecci con curiosità e con onestà intellettuale, innaffierò la psiche e cercherò per lei l’ambiente più favorevole. Uscirò dalle persone senza rancore, senza rabbia e senza cattiveria. Farò di tutto affinché sia io a travolgere gli eventi e non viceversa.

Vivrò, possedendo ciò che avrò deciso di ricordare.

Personalità non aderenti ai corpi

Elaboro, scruto, rifletto, ripenso, ritratto, ritraggo mi distraggo e mi rimangio -restando sempre e comunque sistematicamente fregato.

A fregarmi è la mia mentalità artistica, capace di tracciare per ogni persona che incontra un profilo idealizzato seguendo un ideale universalmente non valido. Ne ho già parlato con successo proprio su queste pagine e la colpa è ancora una volta loro: gli inestirpabili Peni Superflui. Essi albergano nelle nostre vite come viscide lumache in un guscio non loro. Sono anche detti “conoscenti”; termine che tutto significa e nulla spiega.

Quando mi capita di approfondire la conoscenza di questi personaggi, fino ad allora rimasti “parcheggiati” nelle piazzole di sosta delle nostre vite (domandiamoci perché), il corpo entra in conflitto con la personalità. Così io mi perdo, confondendo il profilo che avevo disegnato per loro con i volti di perfetti sconosciuti, in grado di lacerare ogni mia certezza con proverbiale rapidità.

Perché non è tutto oro quel che luccica? Perché una rondinella non fa primavera? Perché non si può giudicare un libro dalla copertina nonostante sia poi il criterio che tutti seguono per decidere quale scegliere tra i tanti sullo scaffale? Perché non si può giudicare dalle apparenze?

Vorrei che le persone avessero personalità più aderenti ai corpi. Ai loro corpi. Ma anche a quelli degli altri, se c’è coerenza. Vorrei che tutti assomigliassero a quello che sono. Vorrei che contenitore e contenuto corrispondessero.

Quante ore di domande a vuoto risparmiate, se solo l’abito facesse il monaco! Quanti inutili scrupoli saltati a piè pari se solo le personalità fossero più aderenti ai corpi! Sì, se lo fossero. Se le personalità fossero più aderenti ai corpi… che pacchia. Sì, ma non lo sono.

Non lo sono quasi mai.