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Tag: nuove generazioni

La relazione perfetta: 30% di amore e 70% di intelligenza

In giro ci sono tanti bravi ragazzi, ma in un’epoca in cui dovrebbero essere uomini già da un pezzo. Persone che vedono nelle altre persone la causa del loro insuccesso sentimentale. Ma quando proprio non si riesce a incontrare qualcuno con cui funzioni fino in fondo, quando guardando indietro si ritrovano solo mezze storielle, quando tra un enfatico sto cercando l’amore e l’altro ci si scopa pure i pali della luce, a queste persone non viene in mente che il problema potrebbe essere loro?

L’amore devi meritartelo. L’amore è faticoso. L’amore è avere voglia di provare a diventare una persona migliore, per se stessi e per chi si ha vicino. Ma non basta. In questi anni zero si sono rese indispensabili altre cose: coraggio, perseveranza, affidabilità, volontà e soprattutto intelligenza. Per questo la gente non si innamora più: perché è stupida. Siamo circondati da coglioni, che si accoppiano tra loro (spesso rischiando di procreare, perpetrando la specie) e che si rivelano semplicemente incapaci di guardare oltre loro stessi. È la generazione di chi scappa semplicemente restando immobile, del confronto mancato, del sesso a debita distanza, dei baci di poco valore, della cultura ma non dell’intelligenza. Quello è il punto.

Cerchi qualcuno che ti ascolti più di quanto tu faccia con te stesso, e poi, quando arriva il momento di ascoltare, via a gambe levate. Questa è l’epoca degli occhi bassi, che temono di trovarsi di fronte alla consapevolezza dell’imperfezione. Si potrà anche essere pronti a sopportare i difetti degli altri, ma è senza dubbio indispensabile aver prima preso coscienza dei propri.

Un piatto d’amore ma senza contorno

Alla fine non può che andare così: si assiste a una dissociazione del cuore, si osserva con stupore un fenomeno dilagante e in un certo senso allarmante. Non riusciamo più a trovare la complicità “dell’altro”, perché l’offerta è senza dubbio troppo ampia; un’offerta confusa, fatta di materiale scadente, di tante parole, e cui manca una dottrina di base convincente. Un tempo era tutto più difficile (o facile?) e si viveva in una dimensione quasi paesana: ci si innamorava della vicina di casa, del compagno di scuola; ci si sposava con la ragazza conosciuta al matrimonio di amici, si flirtava con qualcuno incontrato in vacanza. Viviamo in un’epoca dove il lassismo dato dalla rete -grazie alla quale schermiamo la nostra parte più vulnerabile- relativizza il concetto di “contatto umano”.

Oggi cerchiamo di avvicinarci a persone distanti da noi anni luce; non solo geograficamente, ma anche psicologicamente e mentalmente; persone che non ci conoscono, e che probabilmente stenteremmo a comprendere davvero, se solo avessimo quella tanto agognata possibilità di averle accanto per un po’ nella vita di tutti i giorni.

Quella dei trentenni di oggi è una generazione che riflette, che vive sulla propria pelle la frustrazione e il desiderio di un amore nel quale ha quasi smesso di credere, finendo per andare a cercare sottobanco dosi di facile e mero sentimento unicamente per soddisfare un bisogno. Il contorno manca, è sfumato. Si crede che il dolciastro bordo dell’impulso amoroso altro non sia che il nauseante preambolo di un incontrollabile mal di stomaco. Così le persone perdono coraggio: gli uomini non sono più degni di questo nome (ed essere “uomini” non ha nulla a che vedere con l’orientamento sessuale, giusto per precisare) e le donne diventano sempre più aggressive, cercando di ribaltare un modello al quale sentono di non appartenere.

Se leviamo la paura, l’erotismo, la conquista, l’incognita, il desiderio della scoperta, la sofferenza del cambiamento e quell’impegno tipico di chi sa amare, cosa rimane? La questione è anche un’altra: togliendo all’amore tutto il suo contorno, ci lasciamo appagare dall’abitudine al suo riflesso, e ci meravigliamo quando scopriamo di non essere più capaci di imparare a volerci bene.

Il vero effetto collaterale di questo surrogato del sentimento è la cecità di chi, l’amore, ha smesso di saperlo riconoscere da tempo. E nemmeno lo sa.