andreadevis

singer / songwriter / vocalcoach

Tag: morte

Se l’amore non esiste

Deglutisco l’indulgenza riflettendo sulle cose che vorrei cambiare. Passeggio per le strade del centro calpestando il pavé sconnesso. Ripenso all’amore che non esiste, provo a bastarmi.

Se l’amore non esiste, cosa resta? Guardo i portoni chiusi delle case del centro: sempre imponenti, compatti, con quell’aria austera tipica dell’architettura fascista. Non si sa chi ci viva.

Se l’amore non esiste, rimane un lontano sapore dolciastro sulle labbra. Stucchevole, melenso. Rimane l’apparenza di un fine settimana in mezzo ai sorrisi di persone che si improvvisano amiche. Un paesaggio bucolico, ora il mare, ora la neve. Pesanti stoffe pregiate dalla fantasia discutibile ricoprono poltrone disabitate da tempo, nell’anonima hall di qualche albergo. Polvere, cenere, sabbia, sale.

Se l’amore non esiste, restano le scopate violente, fatte con talmente poco cuore che se non fosse per il dolore potresti essere morto. Una camminata in punta dei piedi sul bordo, tra dolore fisico e mentale, aspettando il momento giusto per lasciarsi cadere con la faccia sul pavimento, riprendendo così il contatto con la realtà, pur partendo dai suoi confini.

Se l’amore non esiste, rimane tutto il resto. La voglia di non diventare mai né invincibili né immortali. Il profumo stomachevole degli altri, che però non si può fare a meno di annusare, quasi fosse un feticcio.

Se l’amore non esiste, resta la paura della solitudine. Familiare al punto da risultare una sfumatura della personalità. Assorbita, stemperata, ma mai davvero superata. Restano le solite orge di parole, i grovigli di lettere e di cose dette a metà. Frasi coniugate all’imperfetto. Punti e virgole sparpagliati perfettamente.

Se l’amore non esiste, resta un monosillabo dietro cui nascondere le lecite ambizioni che ci rendono umani.

Se.

Non è mica la fine del mondo

La storia dell’anima gemella è una cazzata colossale.
Scarichiamo la responsabilità del nostro insuccesso su qualcuno che non c’è e che forse nemmeno esiste. Ma se fossimo noi e noi soltanto ad avere la possibilità di decidere chi sia la nostra anima gemella? Come ci poniamo e come decidiamo di essere è fondamentale per decretare qualcuno come decisamente sbagliato o totalmente perfetto.

Desiderare qualcuno che non si può avere corrisponde a desiderare qualcuno di sbagliato; certo, perché significherebbe sofferenze e spreco di tempo. Il tempo non torna, le sofferenze logorano e tutto si risolve in un nulla di fatto.

C’è il libero arbitrio, scegliamo noi. Scegliamo se farci del male oppure no. Scegliamo se aspettare o -forse- se farci aspettare.

Ma in fondo, non è mica la fine del mondo.

La solitudine dei numeri uno

Per creare, serve il silenzio. Non necessariamente, ovvio. Ma spesso chi crea è solo.

Una volta qualcuno mi disse che solo dal dolore può nascere l’arte. È quindi nel dolore della solitudine che si affina la consapevolezza? L’arte nasce e si perfeziona nel dolore, ma è nel silenzio che la si comprende a pieno trasformandola in qualcosa di tangibile. I numeri uno -ovvero coloro che primeggiano- lo sanno. Hanno infatti la consapevolezza di quello che sono, e la capacità di osservare gli altri in un clima di confronto e conforto, con forza. Hanno la lucidità necessaria per non lasciarsi ingannare dalla luminosità del loro lavoro, sanno sempre che c’è un margine -non marginale- di miglioramento.

Quando l’abitudine è più forte del desiderio

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, si preferisce la certezza del dolore all’incertezza del cambiamento.

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, ci si racconta che in fondo va bene così.

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, ci si mette il burqua nella speranza che il destino non ci riconosca.

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, si spera di vincere il premio come “miglior attore non protagonista”.

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, si confonde la paura con la responsabilità.

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, si piscia fuori dal vaso (dei fiori).

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, i ragionevoli dubbi sono antipatici come granelli di sabbia (nel letto).

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, “crescere” è un perverso desiderio inconfessabile.

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, si resta sul filo del rasoio, si resta appesi a un filo, si trova il fil rouge e si ha la consapevolezza che un filo non basta per un’impiccagione.

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, si impara a considerare la morte come una semplice quanto valida alternativa alla noia.

Recidivismi Relativi Recisi

Cadono le foglie, finalmente. Si puliscono giardini e si tagliano rami secchi.

Tra qualche mese un timido raggio di sole farà la sua comparsa, e noi, pronti a sorprenderci, saremo in prima fila ad assistere alla nascita dei nuovi boccioli: tremendamente somiglianti a quelli dell’anno prima, che a loro volta ricordavano in maniera impressionante quelli dell’anno prima ancora e così via, in un perverso meccanismo nel quale ormai ci si rinnova consolidando uno schema fin troppo prevedibile.

È inutile recidere, tanto non si cambia quasi mai, e quando succede certamente non dipende solo da noi. La verità sta nel mezzo; ma nel mezzo di che cosa? Forse dell’oceano Indiano? Nel mezzo di una irraggiungibile crosta terrestre? O magari nel mezzo -di trasporto- con il quale latitiamo tra le relazioni? Potrebbe anche trattarsi di un imperdonabile errore di forma. Se la verità stesse quindi nel mazzo? Nel mazzo di cazzate che a fasi alterne ci ripetiamo, tipo: “sono una persona nuova”, “ho imparato dai miei errori”, “ho smesso di farmi del male”? Tanto poi siamo noi i primi a non crederci e ad avere la consapevolezza dell’esistenza concreta delle ricadute.

A ognuno il suo: chi ha il debole per il caso umano, chi per la nevrotica esaurita, chi per il morto di fame, chi per la bella stronza e chi per il bello e impossibile con gli occhi neri e quel sapor medio-orientale.

Rassegniamoci al recidivismo relativo senza illuderci che recidendo -al primo timido raggio di sole- lo stelo di una margherita possa partorire rose rosse: inaspettatamente sorprendenti e rigorosamente senza spine.