andreadevis

singer / songwriter / vocalcoach

Tag: minchiate

Contorni Conforti Confronti Contorti

Ho come l’impressione che se interrompi una relazione di lunga data sul confine con i tuoi trent’anni, non fai altro che cacciarti in un mare di guai. Si finisce in una sorta di oblio: sospesi tra il desiderio di un nuovo confronto e la pretesa -legittima- di avere al proprio fianco qualcuno che riesca a capire il prezioso valore di cui è intrinseca la (sana) solitudine che profuma di indipendenza. Ti guardi intorno e vedi coetanei che si sposano, fanno figli, vanno a convivere, progettano cose. Resti a osservare il (naturale?) progredire delle cose, domandandoti con un po’ di affanno che fine farai. Si vagliano le alternative, perché forse c’è un’età per ogni passo. Il problema è quando arrivi a un certo traguardo numerico, accorgendoti di essere troppo grande per certe cose ma ancora troppo indietro per altre. Eccolo, l’oblio di cui parlo. Si comincia a imbrogliare sull’età quando ci si rende conto di non essere dove si era programmato di essere. Non raccontiamoci che i tempi sono cambiati, perché non serve a niente, se non cambiamo noi per primi.

È anche vero che trent’anni non sono settanta, e interrompere una relazione di lunga data che non ci fa stare bene è sempre una scelta rispettabile. Trent’anni -o poco prima- perché quando hai vent’anni -o poco più- non lo capisci. Le cose che non vanno non si sistemano, le persone non si trasformano e il lavoro che dobbiamo fare su noi stessi è necessariamente faticoso e urgentemente improrogabile. Si passa per la sofferenza e a volte ci si lascia divorare dai pensieri, quasi invidiando la superficialità di quelli che non ne hanno affatto.

Non è una grande prospettiva, infatti un sacco di codardi non interrompe proprio niente, fingendo di non vedere la nave che affonda. Eppure dovremmo esigere di più da noi stessi: dovremmo custodire tra le braccia ciò che è veramente inestimabile, dovremmo pretendere un bacio sulle palpebre ogni notte ed esigere baci che le labbra sono solo il preludio, ogni giorno.

Tra parentesi

Credo mi piacciano le parentesi. Sono un gran bel segno grafico, e non dico “un” a caso, perché quei due archetti se ne viaggiano da sempre solamente in coppia. Certo, essere la parentesi di qualcuno è una cosa un po’ diversa (molto diversa, e non necessariamente così entusiasmante) ma è tutto un altro discorso. Le parentesi raccontano segreti, chiariscono concetti farraginosi e nascondono preziose informazioni attraverso le quali possiamo arrivare a guardare il mondo con occhi diversi.

Una mezza parentesi non è altro che una linea storta, ma se riesce a trovare la sua controparte, assume un’importanza tutta nuova. Le parentesi sono sempre formate da due elementi {e non lo dico tanto per dire [quando uso “sempre” mi riferisco a tutti i casi: matematici o grammaticali che siano (ovviamente pure sentimentali) non fa differenza] tant’è che una parentesi sola si è vista unicamente in tempi recenti per dar vita a qualche discutibile “smile”}.

Se non hai il coraggio di vivere qualcosa a pieno, e temi di venir spazzato via dalla cerebralità degli eventi (o semplicemente dalla tua) puoi ricorrere alle parentesi: usarle correttamente non è però sempre facile {devi conoscere bene la grammatica [delle cose (e dei casi)per aprirle e chiuderle nei punti giusti} infatti molte persone combinano dei veri e propri disastri, finendo per non capire più che cosa stia al di fuori e che cosa invece debba restare dentro.

A mio avviso la cosa più importante è l’identità (non quella delle parentesi, ma la nostra!) e se fossimo capaci di guardarci andando oltre i limiti e superando la paura del confine {eventualmente anche del confine della parentesi stessa [o delle parentesi stesse (a seconda della complessità della questione)nella quale ci siamo confinati} potremmo finalmente comprendere che il posto in cui “dobbiamo” stare è semplicemente quello nel quale non abbiamo la necessità di aprire parentesi di nessun tipo; o dove al massimo siamo uno dei due indispensabili segni grafici che contengono un pensiero, proteggono un progetto, abbracciano un ideale comune e raccolgono un universo infinito.

 

L’uva passa, il resto resta

Si tratta veramente di un attimo. Si passa dall’attesa snervante per quella telefonata che non arriva mai all’eliminazione spietata di tutti quelli che non ci degnano dell’attenzione che meritiamo.

Quando sappiamo che è il momento di pensare solo a noi stessi, perché ci ostiniamo comunque a cercare altri? Riceviamo inequivocabili segnali da un destino che nemmeno credevamo potesse esistere, eppure continuiamo a fare di testa nostra, sprecando tempo prezioso nel più inutile dei modi. L’uomo forse non sarà un essere solitario, ma senza dubbio la capacità di stare bene con se stesso è un’ottima base per ogni sana, futura, relazione di coppia. O forse anche no, considerando che spesso la solitudine crea solo una patologica dipendenza.

Quando finisce un amore, o quando inizia, non sempre ce ne accorgiamo. Di solito accade dopo un po’, non appena abbiamo il tempo per fermarci a realizzare e a razionalizzare. Ti rendi conto che la cosa era già in essere da tempo, ma per qualche strano motivo per rendercene conto dovevamo attraversare una specie di periodo refrattario. Poi un bel giorno, mentre stendi i panni o mentre guardi l’orizzonte, sgrani all’improvviso gli occhi tipo Carfagna ed esclami senza inibizioni: “ma io sono solo!” quando sono magari già sei mesi che non incontri un altro corpo oltre al tuo.

Ci sono priorità nella vita che non possiamo accantonare, perché c’è un momento per tutto; ma il tutto, non lo si può mai fare in un solo momento.