andreadevis

singer / songwriter / vocalcoach

Tag: luce

Ricordi la prima volta che ti hanno detto “ti amo”?

Io sì, ricordo perfettamente ogni minimo dettaglio, dalla luce al tasso di umidità della mia fronte. Ricordo anche quando fui io a dirlo; ma non condividerò questi momenti con nessuno.

Se ma li dovessi mettere nero su bianco, sarà per me e me soltanto.

Predisposti geneticamente alla felicità

Questa mattina mi sono alzato con una strana idea in testa.

Quando stavo negli Stati Uniti, la mia amica Ingrid mi disse che noi biondi abbiamo una serie di meravigliose sfumature di colore nella nostra chioma, in attesa di essere semplicemente sollecitata dal balsamo giusto. Io -che non avevo tutta questa esperienza in materia- mi lasciai convincere a provare “Go Blonder” di John Frieda, e da quel giorno, senza artifici, riportai alla luce sfumature dorate degne del più biondo e californiano dei surfisti.

Che con la felicità sia pressoché uguale? Sono convinto che i geni siano insiti dentro ognuno di noi. Il problema è la predisposizione, poche volte spontanea e quasi sempre azzoppata dal desiderio di sembrare -chissà per quale oscuro motivo- degli eterni insoddisfatti. Essere lagnosi attira altre lagne, e altre rogne, che a lungo andare ti logorano.

Dove si compra il balsamo per sollecitare le sfumature della felicità?

Bisogna essere capaci di predisporsi alla stimolazione dei geni. Dimostrarsi desiderosi di felicità, accogliendo a braccia aperte la vita. Non so come si faccia, ma inizio ad averne un’idea: circondarsi di persone che ci vogliono bene è un grande inizio; persone che ci ricordino il nostro valore e che non ci permettano di buttarci giù, nemmeno quando lo facciamo per darci un inutile tono tenebroso. Evitare i giochetti e le manipolazioni delle situazioni, nell’amore e nei rapporti in generale, facendo della chiarezza la nostra bandiera. Smontare le impalcature del cervello e del cuore. Costruire rigidi schemi per poi non vedere l’ora di uscirne spietatamente.

Frizionare dopo lo shampoo, sui capelli umidi, una piccola quantità di balsamo, lasciando agire per qualche minuto e ripetendo l’operazione se necessario. Risciacquare abbondantemente. Evitare il contatto con gli occhi ma non con il resto. Asciugare a testa in giù con l’aria calda del phon per ottenere un maggior volume. Riportarsi a testa alta e uscire predisposti geneticamente alla felicità.

Buon Natale

È stato come se avessi improvvisamente aperto gli occhi. Dal caldo soffocante di un’estate che si ostinava a non finire bruciando le suole delle scarpe sull’asfalto bollente, mi ritrovavo lì, a guardare il cielo inaspettatamente gelido e bianco, carico di neve ancora inibita. Sentivo suonare in lontananza “Have Yourself A Merry Little Christmas”,  e cercavo di restare in piedi nel viavai di gente carica di pacchetti. La differenza era ancora minima ma percepivo che il cambiamento stava iniziando a non essere più unicamente faticoso, ma anche capace di restituirmi il dubbio che il futuro potesse rivelarsi diversamente interessante. I miei sogni si erano fatti nitidi e non chiedevano nemmeno più di essere interpetati, quanto piuttosto semplicemente accettati. In un attimo, capii che quello che poteva farmi stare bene era la chiarezza. E l’onestà. E la lucidità. E forse, anche la banalità di cui avevo tanto diffidato.

Era appena un anno fa. Stesso letto. Steso su di un fianco. A stento sveglio ma stordito dal suono sordo della neve che cadeva spontanea dagli alberi spogli. Solo, lascio che gli occhi godano della luce riflessa dalla neve.

La neve si lascia attraversare dalle cose, filtra, e attraverso i suoi cristalli ci restituisce un’immagine della realtà decisamente troppo onirica e zuccherosamente poco concreta. Il Natale serve anche a questo: a farci sentire buoni, sognanti e onnipotenti. Il Natale serve a fare propositi, a tradirli dopo la befana, a rimpiazzarli con altri meno ambiziosi a fine gennaio, a fingere di averli mantenuti per buona parte a metà marzo, e a dimenticarli definitivamente non appena, in primavera, il profumo del prato tagliato avrà raggiunto le nostre vogliose narici.

Radici; intrecciate a ghirlanda e verniciate frettolosamente ci ricordano, stazionando in bella mostra sulle nostre porte, che è Natale: canditi scartati sul bordo di un piatto dorato, glassa lucida da sembrare plastica su forchette d’argento, torroncini troppo duri mordicchiati e lasciati a metà, biscotti in pan di zenzero sbriciolati su tovaglie in raso rosso, finalmente premiate per aver pazientemente aspettato il loro giorno in cassetti impregnati di canfora cinese.

Ci vendono il Natale in confezioni da dieci. Dovremmo essere tutti felici, riuniti a qualche tavolo con una famiglia, alle spalle di un abete oltremodo addobbato, pronti a sorridere per celebrare qualcosa che non ricordiamo. Non c’è miglior momento per accorgersi di cosa invece non vada: chi manca? che cosa mi manca? che cosa è cambiato? che cosa volevo e non ho avuto? che cosa ho avuto che non volevo?

So di persone vere che sostituiscono al focolare qualcosa di meno biblico e meno appariscente. So di abeti stanchi che per sostenere angeli di marzapane perdono gli aghi dei loro rami. So di paesaggi innevati che incorniciano il nulla.

Viviamo con gioia, perché possiamo costruire un mondo. Possiamo scrivere un pensiero e donarlo. Possiamo disegnare una famiglia, una ghirlanda di rami, un dolce fatto in casa e una candela rossa. Possiamo addormentarci per sognare che tutto questo esista, a Natale. Possiamo svegliarci per fare in modo che tutto questo esista davvero, ogni giorno.

Buon Natale