Sembra che ormai a Milano nessuno voglia più innamorarsi. È come una sorta di dilagante nevrosi collettiva, che mi ha portato a pensare all’innamoramento come a uno di quegli sgradevoli compiti che si preferisce lasciare agli immigrati stranieri: raccogliere i sacchi dell’immondizia, saldare pesanti tubi nelle fabbriche, spalare la merda dalle strade e via dicendo. Sì, l’amore lo si trova nello stesso reparto della merda, a Milano.
Cerco l’amore intorno a me e lo trovo sono in coppie di signori anziani che sul tram si tengono ancora per mano: è gente appartenuta a una Milano che non c’è più. Oggi il bistrattato sentimento resta invece in mano a giovani filippine, che su quegli stessi tram vivono l’emozione di un messaggio scritto in gran velocità su telefoni affollati da ciondolini colorati.
Tra le stradine di Brera gli artisti filosofeggiano non offrendo altro che indecisione, nei bar del centro giovani professionisti pranzano senza accorgersi delle persone sedute ai tavoli vicini, e nei pochi ritagli di verde tra via Larga e piazza Santo Stefano -chi ancora si ricorda dell’amore- pensa a mettere in scena la prevedibilità dalla quale noi altri fuggiamo. In via Victor Hugo guardo per terra alla ricerca di un’epoca riesumata solo per le cartoline in bianco e nero vendute nei chioschi di Souvenir. Cerco oltre l’appiccicosa gomma nera regolarmente colata nelle fughe delle mattonelle del pavé, ma gli strati sono ormai troppi e il terreno fertile pare inghiottito dal tempo.
Mentre passeggiavo tra via della Spiga e via San’t Andrea, perso nel ricordo di quel paio di Dior taglia 27 che calzavano a pennello sulle mie gambe ma un po’ meno sulla mia carta di credito, mi sono accorto dell’imperante maleducazione della gente. A cosa serve comprare un costoso paio di Church’s blu quando non puoi camminare per strada senza che nessuno ti schiacci i piedi? Le persone non sanno guardarsi i piedi e non sanno guardare quelli degli altri. Mi stupisce che le persone non vogliano amare, ma vedere le persone riluttanti all’idea di lasciarsi amare, mi scandalizza.
Odio i mariti che si lamentano delle mogli alimentando il giocoso ma raccapricciante stereotipo italiano. Odio chi si alza lamentoso il lunedì perché andrà a fare qualcosa che per sua scelta non ama. Odio chi vive passivamente in attesa di qualcosa (week-end, vacanze, fine del mondo, etc.). Odio chi è sempre pronto a ricordarti che la vita è dolore, sopportazione, fatica e basta. Odio chi crede che la propria esperienza sia la norma.
Amare è a volte anche questo, nell’amara, amorevole, Milano.