andreadevis

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Tag: incognita

Un piatto d’amore ma senza contorno

Alla fine non può che andare così: si assiste a una dissociazione del cuore, si osserva con stupore un fenomeno dilagante e in un certo senso allarmante. Non riusciamo più a trovare la complicità “dell’altro”, perché l’offerta è senza dubbio troppo ampia; un’offerta confusa, fatta di materiale scadente, di tante parole, e cui manca una dottrina di base convincente. Un tempo era tutto più difficile (o facile?) e si viveva in una dimensione quasi paesana: ci si innamorava della vicina di casa, del compagno di scuola; ci si sposava con la ragazza conosciuta al matrimonio di amici, si flirtava con qualcuno incontrato in vacanza. Viviamo in un’epoca dove il lassismo dato dalla rete -grazie alla quale schermiamo la nostra parte più vulnerabile- relativizza il concetto di “contatto umano”.

Oggi cerchiamo di avvicinarci a persone distanti da noi anni luce; non solo geograficamente, ma anche psicologicamente e mentalmente; persone che non ci conoscono, e che probabilmente stenteremmo a comprendere davvero, se solo avessimo quella tanto agognata possibilità di averle accanto per un po’ nella vita di tutti i giorni.

Quella dei trentenni di oggi è una generazione che riflette, che vive sulla propria pelle la frustrazione e il desiderio di un amore nel quale ha quasi smesso di credere, finendo per andare a cercare sottobanco dosi di facile e mero sentimento unicamente per soddisfare un bisogno. Il contorno manca, è sfumato. Si crede che il dolciastro bordo dell’impulso amoroso altro non sia che il nauseante preambolo di un incontrollabile mal di stomaco. Così le persone perdono coraggio: gli uomini non sono più degni di questo nome (ed essere “uomini” non ha nulla a che vedere con l’orientamento sessuale, giusto per precisare) e le donne diventano sempre più aggressive, cercando di ribaltare un modello al quale sentono di non appartenere.

Se leviamo la paura, l’erotismo, la conquista, l’incognita, il desiderio della scoperta, la sofferenza del cambiamento e quell’impegno tipico di chi sa amare, cosa rimane? La questione è anche un’altra: togliendo all’amore tutto il suo contorno, ci lasciamo appagare dall’abitudine al suo riflesso, e ci meravigliamo quando scopriamo di non essere più capaci di imparare a volerci bene.

Il vero effetto collaterale di questo surrogato del sentimento è la cecità di chi, l’amore, ha smesso di saperlo riconoscere da tempo. E nemmeno lo sa.

Ci piacciono le persone straniere perché non hanno i mezzi linguistici per dire cazzate

Via gli orpelli, via i fronzoli, bisogna andare dritti al sodo. Evitiamo i giri di parole, surclassiamo le fastidiose perifrasi; è la sostanza che conta, e il dono della sintesi non è mai stato cosa più preziosa in un rapporto a due.

Sì, perché tutti si impegnano a dirsi le cose in maniera troppo articolata, risultando alla lunga soltanto ambigui e farraginosi. Non è questione di sincerità: si può essere benissimo disonesti in maniera chiara. O essere chiaramente disonesti, oppure onestamente poco chiari. Una bugia esposta magistralmente bene non fa di te una persona corretta, ma certamente ti rende una persona con discreta capacità di esposizione.

Riflettevo sui rapporti con la gente straniera: siano essi amorosi o di diversa natura, sono sempre condizionati dal gap linguistico. Si teme l’incomprensione, ci si espone pericolosamente alle figure di melma e si è pronti ad arrossire per un intreccio di parole che porta lontano da dove ci eravamo prefissati di arrivare. La cosa strana è che le incomprensioni ci sono anche tra persone che parlano la stessa lingua; eppure l’incapacità degli stranieri di articolare quella sequela di cazzate tipica dei rapporti a due, esercita un grande fascino. Dovrebbe essere sempre così: ci si parla in maniera semplice e diretta, si evitano discorsi inutili, dispendiosi, dispersivi e diversivi. Bisogna andare al sodo. Non serve mandare messaggi subliminali o sottotesto. Non abbiamo bisogno di parole di cui ignoriamo il significato solo per darci un’aria più interessante.

Quando stavo negli Stati Uniti -all’inizio- feci la conoscenza di una ragazza tedesca. Anche lei stava imparando lì l’inglese, ed entrambi avevamo in comune qualche problema con il simple past. Decidemmo così di non usarlo, e di non usare nemmeno il futuro, che il nostro programma di studi avrebbe previsto solo qualche settimana più tardi. Diventammo grandi amici. Ripensandoci, capisco che tutto sommato avevamo risolto un’equazione molto semplice: il passato era passato, quindi non valeva la pena parlarne; il futuro era un’incognita, quindi anche di quello non aveva senso discutere. Il presente lo stavamo vivendo, e in quel momento era l’unica cosa della quale disponessimo e sulla quale potessimo fare progetti. Con questa politica, i nostri progetti venivano sempre portati a termine in tempi brevi e con ottimi risultati.

I preservativi per il cuore

Siamo sempre tutti attenti alla nostra incolumità fisica, quando ci relazioniamo con nuove persone; ma al cuore? Chi ci pensa? Sarebbe bello potersi proteggere da eventuali coinvolgimenti sentimentali? Se esistesse un preservativo per il cuore, riusciremmo veramente a farne uso?

Si presta grande attenzione per evitare di concepire una nuova vita -ed è un bene- ma spesso non si riesce nemmeno a concepire la possibilità di una relazione duratura, quindi, forse, il preservativo per il cuore eviterebbe solo l’ennesima strage. Poi però, pensandoci bene, finiremmo per domandarci che ce ne facciamo, di una condivisione di letto se non esiste seduzione. Se tutto fosse facile, prerogativa preordinata del nulla, probabilmente il sesso non avrebbe più nessun appeal. L’incognita del “poi”, di quelle parole libere e talvolta anche un po’ intimidite dal piacere, il dubbio del giorno dopo e l’adrenalina da brio post-coito, dove andrebbero a finire se non ci fossero i cervelli a complicare le cose?

Un corpo dentro l’altro: alla ricerca di un orifizio che permetta, semplicemente, di giungere al cervello, passando obbligatoriamente per il cuore. Non ci sono vie alternative, non ci sono scorciatoie: la strada può essere dissestata o trafficata, magari senza stazioni di servizio per fare una sosta, magari senza possibilità di rifornimento carburante… ma è lassù che si cerca di arrivare.

Mi chiedo che cosa ce ne faremmo -se esistessero- dei preservativi per il cuore.