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I buoni prototipi per il 2013

I buoni propositi sono passati di moda, e soprattutto ormai nessuno ci crede più. Già è difficile far durare i suddetti propositi oltre marzo, figuriamoci l’anacronismo nel quale cadrei se decidessi di stilarne una lista. Molto meglio i prototipi, ovvero diverse tipologie di persone ideali. E tu? A quale prototipo affideresti -se potessi- il tuo 2013?

Prototipo 1: Realizzato nel lavoro, guadagna abbastanza per poter gestire con serenità casa e piccoli sfizi; ha frequentazioni assidue ma non impegnative e vive una serena indipendenza conquistata in maniera consapevole e graduale. Ama solo le cose belle, seppur costose e unicamente frutto di sacrifici non indifferenti. Conserva un ottimo rapporto con gli amici di sempre e ne accetta limiti e difetti.

Prototipo 2: Vive una vita sentimentale molto accesa, ama. Le altre frequentazioni sono rappresentate dagli amici, dei quali però non accetta i difetti, considerandoli mancanze di rispetto. L’amore occupa lo spazio principale nella sua testa, mentre il lavoro, costante, è di solo contorno alla vita.

Prototipo 3: Ambizioso come non mai, dopo aver capito che le soddisfazioni personali contano più di ogni altra cosa, vive la vita come un’eterna scalata al successo e imposta i rapporti umani in funzione di questo. Non perde tuttavia la speranza nel tanto discusso amore, e ogni tanto -seppur nascosto sotto un velo di cinismo waterproof- si lascia sfuggire qualche sguardo speranzoso (ma sempre e comunque nei luoghi sbagliati dove non c’è pericolo di essere ricambiato).

Prototipo 4: Possibilista, non si prende troppo sul serio, e vive alla giornata cercando di andare a dormire ogni sera sereno. Consapevole del fatto che a questo mondo accadono solo le cose che decidiamo di far accadere (con dovute eccezioni), si concentra su amore e carriera in proporzione variabile a seconda di desideri e necessità, senza mai scendere oltre il livello della decenza.

Prototipo 5: Ha compreso che negli anni 70 e 80 ci si divertiva davvero, quindi non pensa minimamente al domani, e si concede il divertimento che le persone hanno smesso di considerare come un’abitudine. Le sgradevolezze e le fisime mentali lasciano posto all’improvvisazione, e gli impegni di tipo economico sono affrontati con sufficienza e superficialità, perché ciò che davvero conta è accontentare sé stessi, affinché si possa essere ben predisposti nei confronti degli altri.

Le giornate si accorciano e le nottate si allungano

Notti più lunghe per pensare, per mettere da parte i dubbi, per vivere quello che si ha e per riempire la casa di idee.

Notti più lunghe per scrivere, per ragionare e per riposare gli occhi.
Notti più lunghe per rendersi conto che il letto è vuoto da tanto tempo.
Notti più lunghe per sogni più articolati e risvegli più delicati.
Notti più lunghe per fare le tre cucinando dolci che non mangerai.
Notti più lunghe per leggere una storia che fa brillare gli occhi.
Notti più lunghe per ascoltare la musica di una donna speciale.
Notti più lunghe per spiare dalla finestra la città che dorme.
Notti più lunghe per uccidere serpenti immaginari.
Notti più lunghe per scappare dal mondo.
Notti più lunghe per toglierti la maschera mentre nessuno ti vede.
Notti più lunghe per andare a dare da mangiare ai gatti di nessuno.
Notti più lunghe per non riuscire a dormire, distratti dai pensieri.
Notti più lunghe per avere paura di fallire.
Notti più lunghe per le lacrime che di giorno non abbiamo il tempo di piangere.
Notti più lunghe per pensare a chi ci ha amato e a chi ci ha ucciso.
Notti più lunghe per avere l’illusione dello svegliarsi più saggi.

Giorni più corti per vivere le notti.

Sputi di riflessione

A cosa serve autorizzare le unioni civili se non è rimasto nessuno di civile cui unirsi?

Direi che è tutta una questione di tempismo, se non fosse già l’incipit di mille altri miei articoli. Ma è davvero una questione di tempismo, di pessimo tempismo per la precisione. Nella mia città, Milano, sono state autorizzate le unioni civili, ed è stato per me l’ennesimo sputo di riflessione. Al di là della tremenda parola “autorizzazione”, che già di per sé ci riporta ai tempi in cui era il pater familias ad avere totale potere sulla vita dei figli, ho pensato al bisogno incontrollabile di sentirsi parte integrante di qualcosa: una famiglia, una coppia, la società stessa. Vale davvero la pena unirsi a qualcosa o a qualcuno? Certamente sì, ma il problema è sempre lo stesso: chi?

Beffardamente fuori tempo massimo, ci propinano queste unioni. Qualcuno è unito, qualcuno si unirà, qualcun altro -all’inizio riluttante e un po’ snob all’idea- ci sta ripensando. Io penso agli altri -a noi altri- persone di poca fede che faticano a riconoscersi in un prototipo. Lo so; ci si sente presi in giro. Mi guardo intorno come al solito senza trovare nemmeno una donna (o un uomo) alla quale valga la pena, civilmente, di unirsi.

A tal proposito c’è grande confusione in città, e i modelli proposti sono forvianti. Nel mio intimo c’è chilly -e basta- ormai da molto tempo. Pare anche che vodafone non giri più intorno a me e che la coop non sia veramente io. Garnier non si prende più cura di me e come se non bastasse hanno scoperto una nuova diffusissima malattia femminile: la cellulite.

Tutti se ne lavano le mani e poi impazziscono cercando la fede, che spesso non è perduta, ma solo ferma in fondo allo scarico del lavandino.