andreadevis

singer / songwriter / vocalcoach

Tag: frequentazioni

Love Is All

Ho scoperto questa canzone rientrando a casa mercoledì sera.
La stavano passando su un’emittente semi sconosciuta che la radio ha magicamente intercettato in un non meglio definito punto a cavallo tra la tangenziale ovest e la tangenziale nord di Milano. Ossessivo, un mantra. Il brano è in loop nelle mie orecchie e nella testa da giorni, complice quel love is all ripetuto all’infinito che mi ricorda quanto sia importante perseguire sempre i valori in cui crediamo. Sì, perché a costo di essere tacciato di melensaggine, io ci credo sul serio, a tutta la faccenda dell’amore. Credo in quegli incontri dove dopo tre secondi è già scattata la scintilla, e ho imparato a credere in quegli incontri dove intravedi soltanto una miccia. Appiccherei un incendio nel cuore, e solo l’universo sa quanto lo desideri e quanto ci provi.

Febbraio ha messo a dura prova il mio fisico. Ho avuto troppi momenti per pensare, per rimuginare sulle scelte degli altri, per provare a darmi risposte senza avere chiare le domande. L’altra sera, a cena con un paio di amici, ho sbattuto la testa contro il cinismo di chi si è lasciato indurire dalla vita e ha iniziato a vedere l’amore come un ostacolo alla felicità, ma senza essere capace di dire basta. È così difficile lasciarsi rendere felici. Le persone si accontentano, non ambiscono, dosano la passione con il contagocce. E tu lì, desideroso di bagnarti la bocca fino ad annegare, mentre altri, disidratati, accanitamente, desistono alla vita.

Love is all, davvero. Continuo a cantarlo, quell’inciso. Me la prendo con le proiezioni, le illusioni, e tutte le altre cose che brillano ma si dissolvono sempre troppo presto, prima ancora che tutto possa assumere una forma. Pretendendo poco, perché in fin dei conti sono le cose normali a renderci sereni.

Qualche anno fa non ero così imperturbabile. Chi mi incontra oggi vede un prodotto, e in pochi sanno andare oltre. Tutti parlano, si confidano, si sorprendono della mia serafica allure. All’apparenza senza troppe fragilità, razionale, sorridente, consapevole. Vorrei incontrare qualcuno che, senza dire niente, riuscisse a smascherarmi, confortandomi con una carezza e facendomi sentire al sicuro da tutto ciò che la notte mi tiene sveglio. Come il fantasma dell’amore, con le sue proiezioni, le illusioni e tutte le altre cose che brillano ma si dissolvono, lasciandoti amareggiato, incompreso.
Ho paura dell’ennesimo abbandono preventivo, della presunzione di chi pensa di averti già capito e cestinato; sono arrabbiato, comprensibilmente inquieto.
Perché dopo tutto, love is all.

Mestruazioni sentimentali

Fa schifo, lo so. Ma è proprio così come deve essere: un lento e schifoso gocciolamento. Le mie frequentazioni sentimentali sono episodi autoconclusivi della durata di una settimana circa, solitamente con poca pubblicità e non necessariamente dai risvolti erotici. Una puntata di chi l’ha visto risolve in genere più enigmi, e a rivelarsi lungimirante risulta inaspettatamente il mio vicino di casa, paladino della scopata senza fronzoli, che non miete vittime e non alimenta illusioni. Intendiamoci: può non rientrare totalmente nel mio stile, ma sono un grande sostenitore delle scopate autoreferenziali. Sarà per quella vena trasgressiva, per un atavico bisogno animale o più verosimilmente per la mancanza totale di ambiguità. Nelle mestruazioni sentimentali, dopo qualche momento di scetticismo, a convincermi è l’entusiasmo dilagante di chi frequento, inaspettato e soprattutto non richiesto. Ed è proprio lì che avviene l’irreparabile, non appena mi lascio andare alla curiosità e alle attenzioni, accennando il mezzo sorriso di chi nonostante tutto ancora ci crede (e meno male).

Un viaggio a Gallipoli, una gita ad Amsterdam, una vacanza in Malesia, il ritorno a Lussemburgo, un salto a Londra per lavoro. E al rientro (quando rientrano) l’assenteismo più totale. Sembra una sceneggiatura di David Lynch. Ma di quelle incazzatissime che scriveva negli anni novanta. C’è abbastanza surrealismo per tutti. Andando in ordine sparso: c’era Mister T. (diceva che sono da sposare), Fabio e la sua incapacità di prendere qualsiasi iniziativa (anche quella degli altri), Alessandro (da mille messaggi al giorno è passato a respingere le mie telefonate, ma è sempre online sulle chat) e poi ancora Guido, che mi ha salutato dicendomi di non sparire (probabilmente voleva battermi sul tempo) e ovviamente il Cinghia: mi ha fatto perdere la testa più di tutti gli altri messi insieme, ma essendo stato chiaro fin dal primo momento riguardo i legami (che aborre) non posso nemmeno sentirmi in diritto di mandarlo a fanculo.

Mentre tra un ciclo e l’altro cerco di recuperare un po’ di equilibrio, aspetto impaziente la prossima frequentazione, per mettere davanti a tutto una sola e semplice domanda: quand’è che parti?

Un ragazzo da sposare

Superata l’antipatica questione della cena fuori – cartina tornasole che misura l’intensità dei rapporti – mi è rimasta la curiosità di indagare un po’ più a fondo le mie discutibili frequentazioni. Mescolando sensibilità, perspicacia e un’innata attenzione ai dettagli, riesco a prevedere con precisione quasi scientifica le prossime catastrofiche mosse del mio interlocutore.

Un’intuito impossibile da mettere in pausa. Da romantico fuori epoca che sono, è un bel problema. Ormai mi è diventato difficile addirittura concedermi una fantasia. Ma lasciando per un attimo da parte le paranoie che popolano i miei giorni, non riesco a non pensare che – là fuori da qualche parte – ci sia ancora qualcuno in grado di sorprendermi e di sovvertire le mie convinzioni.

Mi disse: “Sei perfetto. Hai tutto. Sei un ragazzo da sposare”.

E non lo rividi mai più.

Musica da buttare

Stavo pensando alle storie che finiscono male; o anche alle semplici frequentazioni, che muoiono prima di diventare qualcosa di più articolato. Quando i rapporti si chiudono rovinosamente, sacrifichiamo con loro anche una buona dose di componenti accessorie, ipotecandone per sempre il significato.

Ho totalmente sputtanato negli ultimi mesi ben due album, che tra l’altro avevo recuperato con discreta fatica: Anita Baker è quasi del tutto ormai relegata alla mensola più alta dei CD, mentre Sade nemmeno posso più nominarla. È un gran peccato perché ritengo brani come “Is It A Crime” e “No Ordinary Love” dei veri capolavori, ma non riesco più ad ascoltarli dissociandoli dal pensiero di quando amoreggiavamo sul divano persi tra note, pensieri, consapevolezze mascherate, abbracci effimeri, paure e mani.

Poi ci sono anche i luoghi, che diventano memoria di incontri e sguardi, ma con il tempo si riesce a riscriverli con più facilità. La musica è impegnativa: si impregna delle nostre sensazioni e poi è quasi impossibile slegare i nodi che si formano. Precipito nella mia adolescenza quando ascolto Vonda Shepard, che è poi l’autrice della colonna sonora di un telefilm che guardavo all’epoca. Non a caso ho scelto di seguire questa vocazione, provando a essere un musicista con la temeraria pretesa di coniugare parole, melodie e sensazioni.

Le canzoni possono diventare un terribile strumento di tortura, ed è proprio come con le persone: quelle che ci piacciono di più sono quelle che ci fanno più male, e dalle quali molto spesso inspiegabilmente scappiamo.

Circoncidere la circostanza

Credo di essere ufficialmente arruolato nell’esercito dell’amore. Sono uno di quei soldati disposti a tutto pur di proteggere quello in cui credono. La mia bandiera è universale e i miei nemici non hanno un’uniforme attraverso la quale possano essere riconosciuti. Ho fatto il militare dell’amore e non ho mai perso la fiducia nel sentimento; semmai ho perso fiducia nelle persone.

Sono sempre stato razionale anche in fatto di relazioni, ma mi rendo conto di aver perso lucidità. Forse ascolto troppo -che sulla carta potrebbe essere un buon modo per capire gli altri- o più verosimilmente interpreto male. Magari interpreto troppo e ascolto male, ecco.

Mi guardo intorno. Come mio solito me ne sto fermo a osservare in silenzio le persone che girano per le vie del centro. Milano è un ricettacolo di idee e stili di vita. Vedo ragazzi tutto sommato mediocri e trascurabili felicemente accoppiati e in grado di riconoscersi in un modello. Mi domando sottovoce e con un filo di presunzione se io non abbia troppo da dare; quel “troppo che impegna” e che non concede pause alle idee.

Qualcuno mi ha detto che sono bello: non un bello impegnativo e che mette in ombra, ma un bello piacevole, da sfoggiare. Qualcuno mi ha detto che sono pieno di sorprese e che la passione che metto in quello che faccio è deliziosamente anacronistica. Qualcuno mi ha detto che so parlare (e spero anche scrivere) e che ho modi gentili e uno sguardo mai arrivista. È bello essere -ammesso che lo sia davvero- queste cose, però non posso fare a meno di pensare che sia tutto solamente un’indecifrabile, enorme, presa per il culo.

Che cosa te ne fai di tanti begli aggettivi se poi puoi unicamente utilizzarli per  narcisistici complimenti da ridicolo autocompiacimento davanti allo specchio? Quello che conta è quello che si è, ma se c’è una cosa che conta di più è il privilegio di poterlo condividere con qualcuno.

Circoncidere la circostanza è un’attività inutile. Recidere i recidivismi è impossibile. Fermasi a pensare è male, perché chi si ferma, è perduto.