andreadevis

singer / songwriter / vocalcoach

Tag: errori

Mi sarei dovuto innamorare di te (e invece mi sono innamorato di me stesso)

Quando impariamo a volerci bene, finalmente riusciamo a innamorarci di nuovo. Generalmente di noi stessi, rendendo la competizione impossibile per chiunque altro. Approcci timidi, brillanti o semplici corteggiamenti hanno vita breve quando nessuno si rivela all’altezza dell’amore che dispendiamo a noi stessi. Se è vero che le relazioni di vecchia data si faticano ad interrompere anche per una questione di abitudine e quotidianità, funziona allo stesso modo quando si è single?

Una contingenza di fattori ci rende dipendenti dall’indipendenza, eletta a gran voce come antitesi alla vita di coppia. Diventa difficile uscire dal dinamismo di un devo rendere conto solo a me stesso che suona bene come un notturno di Chopin, o allontanarsi da più prosaici mi basto e altre ritrovate certezze. L’indipendenza è dissonante, la diffidenza pericolosa. Capovolgiamo tutto, quando perdiamo la testa, e più cerchiamo di tenere a bada le fantasie, più loro si scatenano. Stravolgiamo l’ordine e creiamo disordine, che con il tempo impariamo a chiamare nuovamente ordine.

Nella confusione, tra rimpianti, rimorsi e sedicenti pentimenti, ci innamoriamo degli errori che non abbiamo fatto.

Non aspetto mai domani per essere felice

Non aspetto mai domani per essere felice. Non aspetto mai domani per amare. Lo faccio e basta. Fanculo le mosse precipitose, i momenti giusti e le persone sbagliate.

Questa mattina mi sono svegliato di buon ora per preparare una crostata di ciliegie, poi ho infornato del pane con i semi di girasole, e già che c’ero ho fatto anche una salsa alle arachidi per accompagnare gli hamburger di ceci cucinati ieri notte. Harriet Van Horne diceva che cucinare è come amare: o ci si abbandona completamente o si rinuncia. Nulla di più vero. Mi piace vedere felice chi amo, incaricarmi della sua felicità.

È stata una buona mossa quella di lasciare i muffin con i lamponi in bella vista sul mobile fin da subito. Era come se ci ricordassero che la scena sarebbe stata loro, poco più in là. Al tavolo, tutti cantanti. Amici vecchi di dieci o quindici anni, conosciuti dietro al microfono di qualche studio di registrazione tra armonizzazioni e unisoni perfetti. Tutti sopravvissuti all’amore: felici, claudicanti, perennemente impavidi. La figlia di Sara ha diciassette anni, ed è deliziosa. Era totalmente rapita da me e dai miei racconti, tant’è che alla fine non ha resistito e mi ha domandato cosa pensassi del gay pride, del family day, delle coppie di fatto, dell’adozione e il resto.

La verità, per favore. È quello che avrei pensato a diciassette anni: senza le paure che la gente crede abbia patito, ma con molti altri più significativi interrogativi (che credi far parte dell’adolescenza ma che invece poi capisci far parte dell’intera vita). Non sarebbe stato molto nel mio stile mettermi a parlare di attualità, e cercare di definire il concetto di moralità sarebbe invece sembrato piuttosto anacronistico.

Le ho detto: l’unica cosa che conta davvero è l’amore. Amare non è mai un errore. Chi ama, non ha mai torto.

Il resto sono cazzate.

PranzoDomenica

Pretendo tutto quello che vuoi darmi

È successo all’improvviso, come praticamente accade quasi sempre in questi casi. Stavo sistemando casa. Una razionale distribuzione di oggetti in spazi più o meno predefiniti, con qualche accenno di cambiamento ma senza sconvolgere gli ordini. Erano appesi lì, sul termosifone del bagno: due asciugamani perfettamente piegati e forse ancora probabilmente umidi. Due.

È stato faticoso imparare a destreggiarmi nella confusione degli stati d’animo. C’è voluto del tempo, ma poi alla fine il mio equilibrio l’ho trovato. Da solo. Senza né un uomo né una donna al mio fianco. Una maturità conquistata, e indubbiamente sofferta. Irrinunciabile.

Tante persone cercano di fuggire dalle sofferenze della solitudine rifugiandosi nella coppia; eppure spesso è proprio lì che si patiscono i supplizi peggiori. Nel conflitto tra quello che si vuole, quello che ci si aspetta e quello che si ha. Perché tutti si ostinano a considerare l’amore come una meta, e non come un meraviglioso mezzo per rendere felici le persone che si hanno a cuore? Dovremmo lasciarci vivere dagli eventi e smetterla di essere intransigenti. Dovremmo smettere di avere la presunzione di sapere come siamo davvero e cosa è meglio per noi.

È già notte, non cambierò le lenzuola. Non sposterò gli asciugamani. Metterò i pensieri sul davanzale. Non aspetterò il momento giusto per iniziare ad amare. Inizio da me.

Vorrei mettermi con te ma non ti amo

Hai tutto quello che mi piace, sulla carta rasenti la perfezione. È strano, perché quando stiamo insieme sto bene, ma stare semplicemente bene non è mai sufficiente. Il modo in cui parli, le cose che dici… sembra tutto così comprimario al mio modo di vedere le relazioni. Le bottiglie di vino bianco ghiacciato che hai aperto per me nemmeno più si contano. Per me hai anche cucinato, ora che ci penso. Sei ancora lì, che aspetti una risposta per sapere quando usciremo di nuovo. Ormai ci conosciamo da un po’, e ho sempre commesso l’errore di pensare che non ti interessasse molto uscire dalla stanza. La stanza: ci ho anche scritto una canzone. È il paradiso degli amanti e l’inferno degli innamorati.

Per qualche attimo -con le tue lusinghe- hai quasi messo a tacere le mie incertezze, facendomi sentire bello. Hai una vita stabile e valori anacronisticamente validi, soprattutto in un’epoca dove sembra che le persone abbiano smesso di pensare: dimenticando l’importanza del desiderio e abbracciando una poco sana bramosia.

Che sia io -algido e analitico- a precludere ogni possibilità? Inizio a pensare di non essere poi così distaccato dalla realtà, e di avere esigenze tutto sommato legittime. Tra le altre cose, l’ultima sbandata l’ho presa proprio per qualcuno che mi piace pur essendo distante dal mio ideale: età, psiche, estrazione sociale, vissuto… ho pensato che uscendo dagli schemi, le cose potessero essere diverse. Infatti lo sono state. Sono state peggio.

Ancora ci penso. Ma l’amore è tutt’altro. Anche tu mi piaci, ma manca qualcosa. Quel qualcosa che deve scattare subito o quasi subito, altrimenti niente. Poi -a quel “qualcosa”- si può decidere se dare ascolto o no, però io non me la sento di rinunciare al meraviglioso casino nel quale i sentimenti ci fanno cadere. Ho trent’anni e voglio vivere, soffrire e poi amare. Quindi pur essendo tutto così bello, resto fedele all’autenticità del cuore.

Per tanta gente il sentimento non è indispensabile, ma io non me la sento di lasciar perdere. Vorrei mettermi con te, ma non ti amo.

Ci innamoriamo delle persone che vorrebbero cambiarci perché non amiamo noi stessi

Ovviamente la colpa è nostra. Quando si ama, non esiste colpa, potrebbe dire qualcuno. Infatti. Quando si ama non c’è mai colpa, ma quando non si ama invece un colpevole c’è sempre. Di solito siamo noi i colpevoli, che per qualche strano motivo che sfugge, non riusciamo -non dico ad amarci- ma a volerci quel poco di bene che renderebbe le cose decisamente migliori.

Le persone sbagliate sono da sempre le protagoniste indiscusse di queste pagine: sia quando a essere “sbagliati” sono gli altri, sia quando ad essere sbagliati siamo noi, con i nostri atteggiamenti e il nostro modo discutibile di vivere le relazioni (reali e non).

Questa vuole essere una riflessione sulla lontananza. Non parlo della lontananza dei corpi, quanto più della lontananza psicologica, quel tipo di lontananza che -quando ne prendi atto- ti fa sentire estraniato e deluso, senza però sapere bene perché. Non è necessario essere una coppia di vecchia data per provare il brivido freddo della lontananza delle teste: è un atteggiamento mentale, che rende ciò che prima era familiare e intimo, improvvisamente estraneo e carico di tensione. Ti ritrovi senza più cose da dire, con gli occhi pieni di immagini incollocabili e con le orecchie che ascoltano parole pronunciate per sbaglio perché inconsapevoli della nostra presenza; tutto sommato, non siamo sempre dove il nostro corpo fa credere che siamo.

Sfuggiamo al confronto con lo specchio, e ci innamoriamo di chi ci vorrebbe diversi perché in tutta onestà siamo noi i primi a non sopportarci così come siamo. Avere la possibilità di puntare il dito contro qualcuno -qualora diventassimo una persona che non ci piace- è uno scarico di responsabilità facile e posticcio e che -finzionalmente- tiene in piedi fin troppi rapporti.

Sappiamo cosa ci fa male, e i più fortunati hanno anche imparato a evitarlo accuratamente, ma in verità, l’alternativa non è stare bene, bensì semplicemente stare. Non sappiamo come andare oltre, e ci accontentiamo di uno stato neutro, fino a che la nostra testa -in astinenza da quelle emozioni capaci di farci sentire vivi- ci fa prontamente ricadere negli errori di sempre, dei quali abbiamo ormai preso una consapevolezza tale da non permetterci più di poterli chiamare semplicemente “sbagli”.