andreadevis

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Quando l’abitudine è più forte del desiderio

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, si preferisce la certezza del dolore all’incertezza del cambiamento.

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, ci si racconta che in fondo va bene così.

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, ci si mette il burqua nella speranza che il destino non ci riconosca.

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, si spera di vincere il premio come “miglior attore non protagonista”.

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, si confonde la paura con la responsabilità.

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, si piscia fuori dal vaso (dei fiori).

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, i ragionevoli dubbi sono antipatici come granelli di sabbia (nel letto).

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, “crescere” è un perverso desiderio inconfessabile.

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, si resta sul filo del rasoio, si resta appesi a un filo, si trova il fil rouge e si ha la consapevolezza che un filo non basta per un’impiccagione.

Quando l’abitudine è più forte del desiderio, si impara a considerare la morte come una semplice quanto valida alternativa alla noia.

Tutto il resto… è pornografia

Cosa conta davvero quando qualcuno ti fa battere il cuore e sbattere gli occhi? Quando -quelle poche volte nella vita- smarrisci piacevolmente la via della razionalità, che cosa fa la differenza? I canoni, i profili, i gusti, le inclinazioni, i dettagli, le preferenze, i requisiti, le scelte aprioristiche… quanto incidono?

Forse vale tutto.

Non ci si innamora di un paio di occhi verdi, non ci si innamora di due belle tette, non ci si innamora di due spalle larghe, non ci si innamora di una chioma bionda e non ci si innamora di un profilo greco. Ci si innamora di chi ti fa stare bene.

Tutto il resto… è pornografia.

…e non erano i succhi gastrici.

E’ incredibile come ogni cosa parli di noi. Le nostre mani, gli occhi, le frasi che pronunciamo. Si attraversano fasi per approdare poi al molo di qualche nuova istrionica conquista personale, dimenticando lentamente -ma non involontariamente- la strada seguita.

Non che si debba tornare indietro -per carità- però sarebbe bene -non tanto per l’autocompiacimento quanto piuttosto per un’obbiettiva analisi degli sviluppi- considerare sempre (anche) il punto di partenza e le alternative messe in ombra.

Capita che il giudizio degli altri sia unanime, che l’impressione che dai di te sia sempre estremamente coerente e stabile; ti accorgi che tutti ti vedono in un certo modo e inizi allora a pensare di essere quella persona. Sei felice e sorpreso perché “quella persona” che loro vedono somiglia stupefacentemente all’idea che ti eri fatto di te stesso. Allora sorridi, perché forse -nonostante tutto sembri immobile- dentro di te qualcosa invece si è mosso e si sta muovendo.

…e non erano i succhi gastrici.

Ancora un minuto e poi mi alzo.

E’ un appuntamento silenzioso e irrinunciabile. E’ un momento di condivisione e anonimato; un sodalizio, un matrimonio muto. Non ne conoscono le ragioni, ma compiono un viaggio verso la medesima meta. Vivono con la stessa impazienza e rassegnazione il tempo che si dilata tra le rotaie. Soffrono insieme il silenzio che ingoia i pensieri, sopportando la puntualità tradita. Sono le persone del treno.

Ognuno -negli anni- ha imparato a conoscere e interpretare gli sguardi degli altri. Sul primo vagone di un treno semivuoto si siedono distanti, mentre si corre verso la città che si sveglia.

“Ancora un minuto e poi mi alzo”, ripeto mentre il cervello -già al lavoro- cerca sugli scaffali della dispensa della mente un buon motivo per aprire gli occhi.

“Ancora un minuto e poi mi alzo”: il cervello manda quindi uno stimolo, l’occhio risponde, gli arti accennano un movimento. Tra pochi istanti sarà il futuro. Ci si domanda cosa accomuni quelle persone. Chi diventano quando arrivano al capolinea?

“Ancora un minuto e poi mi alzo”. Il pavimento è gelido. I miei piedi stabiliscono il contatto con la realtà: su di loro si reggerà un’altra giornata e un’altra ancora.

“Ancora un minuto e poi mi alzo”. Ecco che davanti allo specchio lascio che dalle palpebre scappi uno sguardo. Si traccia il profilo, lo so contestualizza, lo si incarna. Esco di casa cercando di assomigliare all’immagine di me stesso.

Aspetto sulla banchina, illuminato dai lampioni che fanno compagnia alla notte.

Ci sono persone che tutto sommato imparano ad amarsi nel silenzio. E’ strano il modo in cui entrano nelle nostre vite; o forse non ci entrano per niente: siamo noi che trasciniamo con forza nel nostro mondo l’immagine tiepida che ci concedono di loro.