andreadevis

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Tag: desideri

Il negozio di liquori

Frastornato dall’improvvisa quiete di un’irriconoscibile Milano svuotata della sua frenesia, mi sono rifugiato per un attimo dalle convinzioni e dalle mie ritrovate stabilità. Statico, mi sono rispecchiato nella vetrina del negozio di liquori, riflettendo sul riflesso, ubriaco di vita, talmente zuppo di certezze da risultare irremovibile per qualsiasi tempesta dalle ambizioni catastrofiche.

Un tempo avrei trovato rifugio nelle parole, prolungamento naturale dei malesseri, dei pensieri. Mi sarei messo alla prova con l’ennesima scelta sbagliata, solo per una manciata di emozioni che mi avrebbe reso più creativo, meno ingordo, inquieto. Ma oggi no. Mentre me ne stavo lì ad osservare pensavo al tradimento. Non quello degli amanti – quello del tempo. Bastardo, spietato, senza remore.

Meglio o peggio, cosa importa? Un attimo fa avevo vent’anni, uno zaino rosso con dentro il diario, due o tre desideri, parecchia ambizione, la merenda e pochi segreti (non ne sono mai stato un grande estimatore). E se c’è un tempo per ogni cosa, rimane la diffidenza. Per le speranze tradite, verso le persone che non hai mai incontrato, per quei traguardi che forse non hai mai desiderato davvero raggiungere – anche se non lo ammetterai mai.

Ma a cosa serve compatirsi? L’autocompiacimento, a chi giova?
Inseguire una chimera, per amare l’assurdo, rendendosi infelici. Guardarsi intorno, riscoprirsi consapevoli, amare e amarsi, anche se non è come ce lo si sarebbe aspettato.
La strada, il negozio di liquori, ubriacarsi di vita, le ritrovate stabilità.

Prospettive

In fin dei conti, riscoprirsi viaggiatori, non è che rappresenti di per sé una grande novità, dal momento che tutti noi – per vivere – attraversiamo epoche diverse della nostra esistenza. Ma tra quelle ovvietà tipo non è la meta che conta ma il percorso che si fa per raggiungerla o altre più assolutiste come si parte per andare lontano e poi si torna al punto di partenza, mi sono abbandonato, pensando ai luoghi comuni e alle verità intrinseche che li rendono tali.

In spalla, uno zaino, con tante cose sul fondo. Consapevolezze perdute, conquiste non sudate e – come quando andavo a scuola – pacchetti di biscotti sbriciolati che ti salvano da quel buco allo stomaco di metà pomeriggio. Ma oggi, che tutto è facile e raggiungibile, ha ancora senso partire? No: se si pensa che tutto sia facile e raggiungibile.

Stavo piangendomi un poco addosso, perdendomi parecchie cose. Rinsavendo, ho ampliato lo sguardo sul mondo. Di merda, sì, ma mica sempre. Non quando si lasciano perdere le sovrastrutture sociali, o le pretese che gli altri noi stessi avanziamo spavaldi nei confronti di una vita che sosteniamo non andarci mai bene.
Vuoi una cosa, o credi di volerla, ne trovi un’altra, inaspettatamente più preziosa, inconsapevolmente necessaria, inedita e inspiegabilmente ora irrinunciabile. Riesci a vederla? Bisogna guardarsi oltre. Si avverano desideri che non si sapeva di nutrire.
Gli impavidi vanno oltre sé stessi e si lasciano rendere felici dall’inconsueto.

Ho guardato sul fondo dello zaino e mi è tornata la voglia di viaggiare.

È un anno che (non) ti conosco

È un anno che non ti conosco e sono ancora qui a pensare che se tu avessi conosciuto me per primo, ti sarebbe venuta voglia di farti conoscere. Penso all’insolito, all’insoluto.

Stamattina mi sono svegliato un po’ triste, ed era tanto che non succedeva. Sarà perché proprio oggi è un anno esatto che (non) ti conosco. È quasi passato un anno anche da quella cena che non c’è mai stata, ma che nonostante tutto mi è rimasta sullo stomaco. Indigesta, la nostra (non) frequentazione.

Oggi sole, niente pioggia. Niente posso darti un bacio? o stupefacenti ho capito come eri dal modo in cui mi hai abbracciato, niente di niente. Penso al mare, alla spiaggia che non abbiamo mai visto, nemmeno a settembre. Penso a quando ho camminato a piedi nudi, con il costume azzurro, quello ancora sporco di sabbia, nel tuo salotto. Penso che sicuramente non te ne ricorderai, ma è un anno che (non) ti conosco.

Ti rendi infelice in minima parte. In quella parte di onesta omertà sessuale mi contempli. Lasci suonare il campanello, cadono i vestiti, insieme alle inibizioni e alle inopportune contraddizioni di una vita intera.

Noccioli di ciliegie e tazze sporche

La luce fioca del mattino, il tuo volto adagiato sul cuscino. I piedi che si sfiorano. Un bacio sulle palpebre per strapparti alla notte. Come sono i suoi baci quando sta per iniziare un altro giorno? Sanno ancora toccarti? Ho preparato i waffle: sento l’odore del burro e quello della vaniglia mescolarsi. Ci sono le ciliegie. Stai bene qui? Forse vuoi tornare alla vita che tutti credono appartenerti. Mi farò bastare i noccioli sul tavolo e le tazze sporche. Non so se ti senta di più negli spazi che riempi o nei tanti vuoti che lasci quando te ne vai.

È un amore totale quello che vi lega? O si tratta semplicemente della rassicurante quotidianità di cui credete di aver bisogno? È un’esistenza fatta di macerie: detriti di un sentimento passato, conservati come fossero un feticcio, sul comodino. Lo immagino castano; intelligente ma non perspicace. Mediocre. O forse bellissimo, ma più facile. Gli fai quello che fai a me? O lo rispetti troppo? Non smettere mai.

Ho sfiorato la follia. Sarebbe stato sconsiderato mostrarmi debole. Ho i polsi lividi, ma non ho mai provato a slegarmi dai tuoi nodi. Il nostro amore mi ha umiliato. Lui ti accarezza – ogni notte – prima di addormentarsi? Io ti proteggerei dal mondo e dall’ignoranza; anche se sei il doppio di me, anche se sembri non aver paura di niente. Hai paura solo di noi, e delle domande che non ti faccio, ma che trovi quando non resisti e mi guardi dentro.

Vorrei chiederti dove si trova il confine tra la nostra verità e il mondo. Vorrei imparare a distinguere la nostra verità dal mondo. Sul tavolo, noccioli di ciliegie e tazze sporche.

Tra un po’, o forse domani

Sono uscito di casa abbastanza presto, questa mattina. Ammucchiati ai lati della via – ancora lucidi – i sampietrini aspettano le mani degli operai, che con precisione certosina comporranno la scacchiera stradale. Provo a costruire anche io la mia strada, e come un mantra – da qualche tempo a questa parte – mi ripeto che la cosa davvero importante è saper guardare. Mi ritaglio un po’ di tempo, mi concentro sulle cose che voglio, le rendo vivide, le osservo. Non tarderà ad arrivare il momento in cui potrò – semplicemente allungando la mano – toccarle. Mi fermo e costruisco un mondo in cui la mia felicità non è un trofeo del quale compiacermi, ma bensì uno strumento per rendere felici coloro che amo.

La piazza di una qualche città europea: tanta luce e mani che si stringono inavvertitamente senza volersi poi più lasciare. Un giardino pieno di onestà e persone sincere. Un aereo diretto chissà dove, e un abbraccio ad alta quota con gli occhi semi chiusi. Bambini senza pensieri. Cani euforici e gatti appollaiati all’ombra che fingono di dormire. Semifreddi al mascarpone con il cacao sopra. Il cielo rosa e viola come quando avevo otto anni. Poi il mare. I raggi del sole che filtrano tra le fessure delle persiane. I cuscini freschi e il respiro caldo. Le mie braccia intorno al suo collo. Le canzoni. Sedermi sul tavolo. Un’altra casa e magari anche un’altra vita.

Tra un po’, o forse domani.