andreadevis

singer / songwriter / vocalcoach

Tag: conoscenti

Lasciare entrare e uscire le persone da sé stessi / Entrare e uscire dalle persone

Asfalto che si sgretola come ghiaccio secco sotto ai piedi, guanti irrimediabilmente spaiati persi sulla strada, stelle di Natale che paiono dipinte con smalti acrilici di bassa qualità. Il sole caldo si scontra con il freddo tagliente che fa sanguinare le dita. Mentre la natura e la città vivono le loro contraddizioni dicembrine, io cammino.

Mi guardo intorno e vedo tante persone: che cosa le lega veramente? Cammino e penso ai legami, agli intrecci e ai rapporti. Rapporti sentimentali, sessuali, amicali, superficiali, di convenienza, di convivenza e di convalescenza. Ascolto la gente: tutti vantano un ristrettissimo numero di amici “veri”. Chi sono quindi gli altri? Chi sono i falsi amici? Quando studiavo inglese, i falsi amici erano i termini morfologicamente somiglianti ad altri ma sostanzialmente diversi. I conoscenti sono quindi personaggi che somigliano ai nostri amici “veri” ma che poi sostanzialmente non lo sono? Un falso amico, può diventare “vero”? Lascio perdere le domande e continuo a camminare.

Si chiama tessuto sociale ed è quindi -per coerenza linguistica- costituito da una trama. Nei rapporti che noi tentiamo di intrecciare, quanta fatica siamo disposti a sopportare pur di diventare parte integrante del tessuto? Abitudini, aspirazioni, frequentazioni… le variabili sono infinite. Ci vuole spirito di adattamento. La città è un perfetto esempio non-umano: lei ospita dentro di sé persone diverse -le fa vivere, crescere e morire- non muta la sua anima, ma adatta il suo aspetto. Entrare e uscire dalle vite degli altri può essere un compito faticoso, l’importante è farlo con la consapevolezza: prodotto che non si compra e che pare sempre più unicamente destinato a un’élite.

Mentre cammino, penso all’autorità individuale. Io, affronterò l’esistenza senza farmi condizionare da presunti e presuntuosi assiomi, vivrò gli intrecci con curiosità e con onestà intellettuale, innaffierò la psiche e cercherò per lei l’ambiente più favorevole. Uscirò dalle persone senza rancore, senza rabbia e senza cattiveria. Farò di tutto affinché sia io a travolgere gli eventi e non viceversa.

Vivrò, possedendo ciò che avrò deciso di ricordare.

Ancora un minuto e poi mi alzo.

E’ un appuntamento silenzioso e irrinunciabile. E’ un momento di condivisione e anonimato; un sodalizio, un matrimonio muto. Non ne conoscono le ragioni, ma compiono un viaggio verso la medesima meta. Vivono con la stessa impazienza e rassegnazione il tempo che si dilata tra le rotaie. Soffrono insieme il silenzio che ingoia i pensieri, sopportando la puntualità tradita. Sono le persone del treno.

Ognuno -negli anni- ha imparato a conoscere e interpretare gli sguardi degli altri. Sul primo vagone di un treno semivuoto si siedono distanti, mentre si corre verso la città che si sveglia.

“Ancora un minuto e poi mi alzo”, ripeto mentre il cervello -già al lavoro- cerca sugli scaffali della dispensa della mente un buon motivo per aprire gli occhi.

“Ancora un minuto e poi mi alzo”: il cervello manda quindi uno stimolo, l’occhio risponde, gli arti accennano un movimento. Tra pochi istanti sarà il futuro. Ci si domanda cosa accomuni quelle persone. Chi diventano quando arrivano al capolinea?

“Ancora un minuto e poi mi alzo”. Il pavimento è gelido. I miei piedi stabiliscono il contatto con la realtà: su di loro si reggerà un’altra giornata e un’altra ancora.

“Ancora un minuto e poi mi alzo”. Ecco che davanti allo specchio lascio che dalle palpebre scappi uno sguardo. Si traccia il profilo, lo so contestualizza, lo si incarna. Esco di casa cercando di assomigliare all’immagine di me stesso.

Aspetto sulla banchina, illuminato dai lampioni che fanno compagnia alla notte.

Ci sono persone che tutto sommato imparano ad amarsi nel silenzio. E’ strano il modo in cui entrano nelle nostre vite; o forse non ci entrano per niente: siamo noi che trasciniamo con forza nel nostro mondo l’immagine tiepida che ci concedono di loro.