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Tag: condivisione

Come faccio a capire se una persona è quella giusta?

Mi sento spesso domandare “come faccio a capire se una persona è quella giusta?”. Credo di aver trovato la soluzione: tutto dipende dalla cacca.

Scrivere su questo blog di relazioni e persone -senza mai distinguere tra uomini e donne- mi ha reso agli occhi di amici e conoscenti una sorta di guru; cosa quasi del tutto sbagliata, se non fosse per qualche sporadica illuminazione tutto sommato banale e sotto gli occhi di tutti. Devo ammettere che con le persone sbagliate ho un certo feeling, forse perché io stesso, sono terribilmente sbagliato; non come alcune persone che conosco, all’apparenza (e forse anche in sostanza, chi può dirlo?) così pacate, serene, risolte e giuste.

Ieri ho scritto alcune mie frasi sul muro del salone. So che è terribilmente autoreferenziale e autocelebrativo, ma mi piaceva l’idea di avere costantemente sotto gli occhi un’indicazione tipo “smetti di essere chi sei e comincia a essere chi vuoi” chissà mai che cominci a crederci davvero. Fanculo le persone sbagliate, quelle giuste, quelle che ci hanno spezzato il cuore senza accorgersene e quelle che fingiamo di aver dimenticato. Alla fine le mie parole sono le stesse, che ciclicamente riempiono questo schermo seppur combinate in maniera differente (ma neanche sempre). Cosa ci posso fare? È una malattia. Per la testa ho solo l’amore: inespresso, tenuto da parte, e sicuramente anche sopravvalutato. Mi piace scrivere di queste cose, e se i miei amici ritengono che riesca ad articolare particolarmente bene quegli stessi pensieri che anche loro hanno, a me va bene così.

Le soluzioni ai più grandi quesiti sono spesso banali. Il percorso che si fa per trovarle, o le tempistiche, lo sono meno. Capire se qualcuno “ti piace davvero” a me è sempre sembrata una cazzata. Lo sai e basta. Non hai bisogno di test o di segnali, come ogni tanto vediamo in qualche film. Se una persona è quella giusta, lo capisci al volo. Poi ci sono mille altri problemi, come l’essere ricambiati o la capacità di cogliere le necessità dell’altro. Per qualcuno però non è così facile capirsi. Siccome tratto sempre con fare cerebrale di argomenti incasinati sospesi tra l’incomprensione e l’interpretazione, oggi mi soffermerò su questa domanda retorica, banale, scontata e… tremendamente attuale.

Una persona ti piace davvero quando non ti fa schifo nulla di lui (o di lei). Per me è questa la cartina tornasole. I baci al mattino, la condivisione del bagno, la devozione, il sesso senza pudicizia, la voglia di annusare e baciare un corpo che è tutto meno che estraneo, l’arrendersi alla vulnerabilità perché non c’è alternativa, il diventare dipendenti da un odore che non necessariamente è un profumo. Cose così. Quando smetti di essere geloso della tua intimità, quando capisci che la tua intimità semplicemente non esiste più… proprio in quel momento capisci che quella persona potrebbe essere quella giusta.

Le periferie dell’amore (battuage all’autogrill parte II)

Ai confini del lecito, a un passo dall’immoralità e decisamente molto prima della consuetudine, esistono le periferie dell’amore; dove l’espressione della sessualità non è altro che una manifestazione primordiale -ma allo stesso tempo complessissima- delle pulsioni che rendono le persone, prima di tutto, degli esseri umani.

Il sesso è un bisogno ancestrale e irrinunciabile; è condivisione, concretezza, conforto e confronto. Per qualcuno è un arrivo, per qualcun altro una partenza, ma indipendentemente dalla considerazione che se ne può avere, è indiscutibilmente qualcosa che fa parte della vita: mangiare, dormire, respirare e amare. Sì, perché il sesso è sempre amore: sia quando è effimero, sia quando è una stabile quotidianità – sia quando lo facciamo egoisticamente per amare noi stessi, sia quando vogliamo solo donarci all’altro.

Anche quando siamo parte di un nucleo, sappiamo solo noi -intimamente- cosa vive il nostro cervello e cosa il nostro corpo ci racconta, ed è per questo che indagare “l’altro” diventa un’attività pressoché paranormale, che può portare a un inesauribile interesse o alla rovina più totale. Non sempre sappiamo cosa vogliamo e non sempre abbiamo voglia di scoprirlo. In una coppia devono esistere delle regole, ma non oltre la porta della camera da letto: tra le lenzuola non deve esserci né limite né imbarazzo. La depravazione che una coppia sceglie di vivere, deve essere la sua normalità: nello spazio dell’intimità, non può esistere pregiudizio se non quello comune, che essendo comune ai soli protagonisti, si annulla automaticamente.

Ogni tanto torno a indagare le pratiche sessuali più diffuse, curiose, bistrattate e obsolete. C’è un autogrill alle porte di Milano -prima dello svincolo A8/A9- dove la sera sembra ci siano strani movimenti: uomini disposti a fugaci incontri di sesso, coppie dalle velleità scambistiche e camionisti alla ricerca di un’ erotica pausa lungo il tragitto che li porterà chissà dove. Non so di preciso cosa accada, e anche se hanno da poco rinnovato l’area di sosta trasformandola in una sorta di lounge room molto bella, il vecchio bagno -adiacente la pompa di benzina- pare ancora attivo, sordido, e illuminato dalla luce dei neon. Chi sono le persone che convergono in questi posti? C’è chi pensa a soggetti dalla scarsa moralità, promiscui e poco inclini all’amare e all’amarsi. Forse è così, ma c’è anche chi cerca una dose di amore non convenzionale, veicolata da un rapido scambio di fluidi organici che non hanno altra destinazione se non i cervelli, alimentando l’illusione che -per un attimo- si possa essere al centro di tutto. Persone disilluse ma desiderose di amare -anche se per poco- qualcuno che non rivedranno mai più, scappando così da tutti quei coinvolgimenti che probabilmente porterebbero soltanto all’ennesima delusione psicologicamente troppo difficile da gestire. Un piacere corporale e animale.

Non importa cosa decidiamo di fare delle pulsioni dell’anima: restiamo indistintamente tutti autentici animali da branco.

Ci preoccupiamo di apparire bene agli occhi degli altri, quando gli altri nemmeno ci guardano (perché troppo impegnati a guardare sé stessi)

Non si è mai contenti, ma c’è una piccola percentuale della popolazione che non riesce a essere contenta perché non riesce a trovare la propria dimensione, a riconoscersi in un gruppo, o in un modello. Io mi sento far parte di questa piccola percentuale di disadattati, e guardandomi attorno, spesso vedo le persone della mia età (25/30, anche se ormai io propendo decisamente più verso i 30) serenamente molto omogenee. Sono riconoscibili per come si vestono, per come si atteggiano, per quello che fanno e per come si muovono nel mondo; sono abituati a riassumere il contenuto nel contenitore, mostrandosi fuori esattamente per come sono dentro. O forse, per come loro credono, di essere dentro.

Mi tiro un po’ fuori da questa descrizione -non per snobismo- ma per l’innata incapacità di omologazione al filone. Giuro che vorrei, e tante volte -fin dalle scuole elementari- ho provato a far parte di un insieme, ma non ci sono mai riuscito: forse per colpa mia e del mio atteggiamento, o forse, per colpa degli altri e del loro di atteggiamento.

Siamo spaventati da chi non ci somiglia, anche se apparentemente siamo tutti molto simili. Io ho invidiato molto i bambinetti che a scuola avevano popolarità e venivano ammirati e anacronisticamente pure quasi idolatrati -come degli esempi da seguire- ma quando mi capita di rivedere qualcuno di loro in giro… mi rendo conto che quella stessa capacità di omologazione a un gruppo, li ha portati a omologarsi alla società in cui viviamo, e non userò certo mie parole quando definirò la società in cui viviamo come una società di merda basata su valori sconnessi e visioni utilitaristiche del mondo e soprattutto “dell’altro”.

A volte, le persone che si ritrovano numerose a condividere qualcosa in un folto gruppo, non sono così socialmente meravigliose come noi le vediamo da fuori, ma hanno in comune soltanto l’attitudine al non avere mai un cazzo da dire. E si sa, in compagnia, è meglio.

Ancora un minuto e poi mi alzo.

E’ un appuntamento silenzioso e irrinunciabile. E’ un momento di condivisione e anonimato; un sodalizio, un matrimonio muto. Non ne conoscono le ragioni, ma compiono un viaggio verso la medesima meta. Vivono con la stessa impazienza e rassegnazione il tempo che si dilata tra le rotaie. Soffrono insieme il silenzio che ingoia i pensieri, sopportando la puntualità tradita. Sono le persone del treno.

Ognuno -negli anni- ha imparato a conoscere e interpretare gli sguardi degli altri. Sul primo vagone di un treno semivuoto si siedono distanti, mentre si corre verso la città che si sveglia.

“Ancora un minuto e poi mi alzo”, ripeto mentre il cervello -già al lavoro- cerca sugli scaffali della dispensa della mente un buon motivo per aprire gli occhi.

“Ancora un minuto e poi mi alzo”: il cervello manda quindi uno stimolo, l’occhio risponde, gli arti accennano un movimento. Tra pochi istanti sarà il futuro. Ci si domanda cosa accomuni quelle persone. Chi diventano quando arrivano al capolinea?

“Ancora un minuto e poi mi alzo”. Il pavimento è gelido. I miei piedi stabiliscono il contatto con la realtà: su di loro si reggerà un’altra giornata e un’altra ancora.

“Ancora un minuto e poi mi alzo”. Ecco che davanti allo specchio lascio che dalle palpebre scappi uno sguardo. Si traccia il profilo, lo so contestualizza, lo si incarna. Esco di casa cercando di assomigliare all’immagine di me stesso.

Aspetto sulla banchina, illuminato dai lampioni che fanno compagnia alla notte.

Ci sono persone che tutto sommato imparano ad amarsi nel silenzio. E’ strano il modo in cui entrano nelle nostre vite; o forse non ci entrano per niente: siamo noi che trasciniamo con forza nel nostro mondo l’immagine tiepida che ci concedono di loro.