andreadevis

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Tag: come essere felici

Sì, mi piace

Ci si aspetterebbe un’agenda un po’ più fitta di parentesi erotiche e momenti ad alto contenuto sessuale, da un sedicente scrittore costantemente impegnato a mettere nero su bianco le sfaccettate questioni di cuore che contraddistinguono le sue pagine. Invece no.

In questo 2015 – che è stato comunque un buon anno – ho avuto un numero imbarazzante di appuntamenti, e se mi guardo indietro mi domando come ci sia riuscito. Un lavoro, praticamente, e perfettamente organizzato. La metodicità del mio approccio è effettivamente molto efficace, quasi da brevettare.

Un caffè in mattinata, un drink dopo cena, una passeggiata in centro… e senza accorgermene sono arrivato a quota quarantacinque appuntamenti. Una media di quasi quattro incontri al mese. Uno a settimana, praticamente. A volte brevi, altre tremendamente interminabili.

Sull’agenda rossa su cui segno tutto, alcuni nomi sono stati evidenziati. Sono le persone interessanti davvero; il più delle volte – guarda caso – sfuggenti, impegnate o provenienti da altre città. È un dato confortante, perché quest’anno ne ho segnate sei. Sei persone sono tantissime. Si tratta di quel momento – in genere racchiuso nei primi tre minuti – in cui dici sì, mi piace.

Poi te le trascini, quelle sensazioni, e ne resti anche consapevolmente vittima, mentre aspetti che un caffè diventi una cena o che uno sguardo diventi un bacio. Può non succedere mai, o può succedere ma essere profondamente diverso da come lo avevi immaginato. Meglio o peggio non importa.

E mentre osservo dicembre portarsi via gli ultimi giorni dell’anno, ripenso ai primi giorni d’estate, quando uno sguardo assente e un sorriso spiazzante, si sono portati via il mio cuore.

Il segreto della felicità è fare cose che ci rendano felici

Credo di aver individuato il problema. Non è tanto il punto di partenza, e nemmeno la destinazione. Si tratta di qualcosa di più insinuante, che – se per certi versi può vantare una quasi romantica sfumatura – ci condiziona l’esistenza, ipotecando la tranquillità di un viaggio continuo che potremmo per comodità chiamare vita.

L’attesa, che gran puttana. Resti lì, cercando di pensare a tutt’altro, eppure lei si manifesta nel peggiore dei modi. Ansia, ipotesi assurde, voli pindarici, cose del genere. Sarebbe tutto più facile se i capitoli della vita ci cogliessero continuamente di sorpresa. Nessuno sarebbe facilitato, nessuno avrebbe il tempo di preparare la risposta giusta o di calcolare la mossa perfetta. Un susseguirsi di sincere – e magari sconsiderate – reazioni, dettate unicamente dalla propria stabilità emotiva (o dalla totale mancanza di essa).

Mentre la mia delicata psicopatia mi rende appetibile agli occhi di alcuni, allontana altri (che sono poi sempre gli stessi). È una bella gara: prima l’attrazione per chi scrive sopra (e tra) le righe, poi la paura di leggere (continuando a fare a botte con un’attrazione che mai come in questo caso sarebbe più corretto definire “fatale”).

Il segreto della felicità è fare cose che ci rendano felici.

Un ipotetico settembre

Mentre guidavo verso sud, vedevo Milano alle mie spalle diventare sempre più piccola. Con Last Goodbye in sottofondo, sembrava tutto più carico di significato di quanto non fosse, ma allontanarmi da tutto per un po’ – da solo – era un piacere che avevo terribilmente voglia di concedermi. Senza programmi precisi, senza una data di rientro, senza troppa roba nella borsa e senza tutte quelle cose che un tempo mi sarebbero servite per mettere a tacere l’ansia.

Firenze è sempre bella, così come è sempre bello perdersi tra le vie del centro la mattina, quando i turisti sono impegnati a riversarsi verso le sculture di Michelangelo o la fontana del Nettuno in piazza della Signoria. Temperatura perfetta, caffè bollente, una moneta per il sassofonista che suona il tema de La Bella & La Bestia e non manca nulla. Così finisco per ritrovarmi a passare la notte nell’appartamento di quattro studenti che praticamente neanche conosco; dovendo rendere conto solo a me stesso mando a fanculo il perbenismo, la puzza sotto al naso, tutto il resto e chiudo gli occhi.

Per un attimo mi sono tornate in mente le cose lasciate a metà, in attesa di quell’ipotetico settembre che potrebbe poi essere diverso dalle aspettative. Ma tutto sommato cosa importa? Le nuvole dell’Umbria sembrano più grandi, raggruppate alla stessa altezza, quasi a voler incorniciare l’autostrada. Camminare a notte fonda per le stradine di pietra attorno alla Rocca, nella parte alta di Spoleto, è meraviglioso. Mi fermo su una panchina a guardare il resto della città. Da quassù sembra ancora più bella. Salgo le scale di pietra per arrivare all’ingresso dell’appartamento, gustandomi la solitudine: da chiassosa si fa sempre più quieta, fondendosi dapprima con il rumore dei miei passi e poi finalmente con il silenzio.

Riapro gli occhi ed è già mattina. Sono riuscito a organizzare anche qui un pranzo di tutto rispetto per i miei amici. Mentre tagliavo le verdure della stessa dimensione – tra un po’ di tartufo nero e vino rosso – pensavo che se avessimo preparato la crostata di ricotta e cioccolato un giorno prima sarebbe stato meglio. Poi penso che sarà ottima per la colazione di domani. Poi arriva domani e non ne è avanzata nemmeno una fetta.

Riparto, ma lascio indietro i pensieri troppo articolati, la voglia di leggere tra le righe cose che non ci sono, le critiche, le lacrime inutili, le paure infondate e quel fare attendista con cui spesso ci si rivolge al futuro. Mi porto via i sorrisi, la voglia di divertirmi e basta, la sincerità di chi non fa programmi e la genuinità di chi non segue tattiche. Tra nuvole basse, stradine silenziose, il sapore della libertà e quello delle crostate ancora tiepide ma non ho voglia di aspettare, c’è tutto ciò che mi serve per essere felice.

Spoleto

Non aspetto mai domani per essere felice

Non aspetto mai domani per essere felice. Non aspetto mai domani per amare. Lo faccio e basta. Fanculo le mosse precipitose, i momenti giusti e le persone sbagliate.

Questa mattina mi sono svegliato di buon ora per preparare una crostata di ciliegie, poi ho infornato del pane con i semi di girasole, e già che c’ero ho fatto anche una salsa alle arachidi per accompagnare gli hamburger di ceci cucinati ieri notte. Harriet Van Horne diceva che cucinare è come amare: o ci si abbandona completamente o si rinuncia. Nulla di più vero. Mi piace vedere felice chi amo, incaricarmi della sua felicità.

È stata una buona mossa quella di lasciare i muffin con i lamponi in bella vista sul mobile fin da subito. Era come se ci ricordassero che la scena sarebbe stata loro, poco più in là. Al tavolo, tutti cantanti. Amici vecchi di dieci o quindici anni, conosciuti dietro al microfono di qualche studio di registrazione tra armonizzazioni e unisoni perfetti. Tutti sopravvissuti all’amore: felici, claudicanti, perennemente impavidi. La figlia di Sara ha diciassette anni, ed è deliziosa. Era totalmente rapita da me e dai miei racconti, tant’è che alla fine non ha resistito e mi ha domandato cosa pensassi del gay pride, del family day, delle coppie di fatto, dell’adozione e il resto.

La verità, per favore. È quello che avrei pensato a diciassette anni: senza le paure che la gente crede abbia patito, ma con molti altri più significativi interrogativi (che credi far parte dell’adolescenza ma che invece poi capisci far parte dell’intera vita). Non sarebbe stato molto nel mio stile mettermi a parlare di attualità, e cercare di definire il concetto di moralità sarebbe invece sembrato piuttosto anacronistico.

Le ho detto: l’unica cosa che conta davvero è l’amore. Amare non è mai un errore. Chi ama, non ha mai torto.

Il resto sono cazzate.

PranzoDomenica

Un periodo di transizione che dura da anni

Cose lasciate a metà, vari ci penso dopo ammassati negli angoli della vita, evasivi speriamo a conclusione di qualche frase reputata forse troppo ottimista. Attraversiamo momenti di merda e perpetriamo stili di vita che crediamo non appartenerci. Comperiamo cose definendole “temporanee”, ma poi rimangono lì: rubando il posto a qualcosa d’altro che non possiamo probabilmente permetterci. Siamo i supplenti di noi stessi.

All’inizio pensi a un momento negativo, poi si cronicizza e pensi solo che sei nella merda. Quando ti rendi conto che quella roba travestita da “periodo transitorio” è la tua vita – abitudinaria, costante e incredibilmente statica – ti girano anche un po’ i coglioni. Siamo inondati dalla retorica di chi rimprovera dicendo che se la vita non ti piace devi cambiarla e bla bla bla. Ma sono cazzate: se fosse facile saremmo tutti felici. Il punto poi non è tanto cambiare la vita, ma capire cosa non va.

Stavo giusto pensando ai corridoi dell’esistenza. Strade che portano da un luogo all’altro, ma che molte volte diventano un limbo: tra ambizioni tradite e tentativi falliti. La residenza dei pensieri rimasti astratti.