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Tag: cazzate

Roba vecchia ancora nuova

Alla fine non credo riuscirò a fare davvero a meno della musica.

Ormai è un anno e mezzo che non entro più in studio di registrazione per dare forma alle idee, e mi manca tanto. È stata una presa di posizione a tutti gli effetti, una sorta di ripicca verso un mondo che non ha mai voluto ascoltarmi. O forse no; uno stratagemma dettato dalla ritrosia di chi si è avvicinato tante volte all’obiettivo senza mai raggiungerlo davvero, con conseguente frustrazione e – per l’appunto – recalcitranza all’idea di rimettersi in gioco, non arrivare da nessuna parte e finire per raccontarsi che in fondo lo si deve fare solo per se stessi, e va bene così.

A mancare è proprio la passione che sempre mi ha contraddistinto. Nonostante continui a scrivere e a immaginare come sarebbero le mie composizioni se solo avessero la possibilità di concretizzarsi, mi manca lo slancio. E preferisco risparmiare qualche soldo per farmi un bel viaggio a New-York anziché investire nella produzione di musica che ascolteremmo in pochi (e con “pochi” già sono stato generoso).

Sì, ma tornerò. In qualche modo tornerò. Anche a costo di farlo solo per me stesso, come mi suggeriscono gli amici sognatori dalle notevoli possibilità economiche.

Nel frattempo – confinato in casa per una convalescenza obbligata – ho frugato negli archivi per compiacermi di passati successi mai successi, come talvolta mi capita di fare (quanta autoreferenzialità!). Dopo aver sorriso ascoltando i miei primi puerili tentativi cantautorali (in buona parte più pregevoli di tanta discografia mainstream attuale) mi sono ritrovato tra le mani una cartella denominata “anni dieci”.

Certo che tra il 2010 e il 2017 ne ho fatte di cose. Era un periodo molto prolifico. Scrivevo per un mensile, scrivevo qui sul blog, scrivevo e incidevo canzoni. Ci provavo tanto. Oltre a scrivere soffrivo un casino per amore, e facevo i conti ogni giorno con una città mutevole e con le difficoltà legate al lavoro. Oggi certi aspetti non sono cambiati, molti altri sì. Non è che tutto quel caos che avevo nella testa, in fin dei conti, è stato il motore di tante cose? Sono passati dieci anni da allora, e no: non tornerei indietro.

Pubblicherò l’album mai pubblicato, che poi alla fine si tratta di una manciata di canzoni, cinque o sei. L’ho tenuto nel cassetto per tutti questi anni, ma se tanto mi da tanto, probabile che sia una delle cose più interessanti che abbia fatto. Di sicuro è figlio di quegli anni, annaffiato con lacrime abbondanti e fatto crescere sotto un sole che se non stai attento ti brucia (quest’ultima frase è orribilmente nel mio stile blog anni dieci).

A presto.

Sentimentalmente inefficace

Inefficacemente sentimentale, avevo messo da parte le smancerie, i manierismi del cuore e tutte quelle cose che – svelate – generalmente mettono in fuga chi frequenti nel giro di pochi istanti. Ma l’avevo fatto tanto tempo fa, crogiolandomi nella convinzione che certi approcci non cambiano, e che il romanticismo – per quanto desueto e assolutamente non necessario – fosse una luna piena, una testa vuota e un bicchiere di champagne bevuto a lume di candela. Più di recente, ma ancora piuttosto lontano da qualsiasi nuova certezza, mi sono ritrovato a riconsiderare la faccenda.
Che il romanticismo sia vivo, è una teoria ancora tutta da dimostrare, ma che i romantici siano morti pare invece un’assoluta certezza. Morti. O camuffati da improbabili poeti urbani, autori di aforismi virali ma non certamente vitali, spacciati sul web come moderne versioni di intramontabili classici che nessuno sentiva il bisogno di rivisitare.

Ridefinire il concetto di sentimentalismo sembra una sfida più avvincente, in un momento storico dove le persone più sono interessate, più si respingono, con macchiavellici escamotage atti a camuffare l’infatuazione, creando dunque nuovi codici di accopp(i)amento. Certo, pretendere che le cose siano esattamente come sembrano continua a essere pura fantascienza, se non per qualche impavido, folle, temerario dell’amore. E la comunicazione si lascia influenzare dagli asettici e fraintendibilissimi nuovi linguaggi.
Prepariamoci dunque alla trasposizione nella realtà delle emoticon, come risposta poco diretta a domande tutt’altro che indirette. Vedo già valanghe di mezzi sorrisi, espressioni corrucciate o lacrimucce poco serie, e ambigui ammiccamenti che non portano da nessuna parte.
Ma il cuore, come si fa?

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Eloquenti emozioni

Convenevoli obbligati, preludi, fastidiosi intercalare. Tutti ti salutano chiedendoti come stai? e poi nemmeno aspettano la risposta. Mettiamo i filtri alle fotografie, nella ricerca dell’anima gemella, alle intenzioni e ai modi. Ma non sempre. Non tutti. Eppure il desiderio di schermarsi è figlio di questi anni zero. Una protezione proiezione di quello che vorremmo essere, o in altri casi di quello che fingiamo di essere.

Ho fatto il giro un po’ più largo, ma la verità è che avevo semplicemente voglia di passare sotto casa sua. L’estate ha spogliato Milano: parcheggi vuoti e stazioni semi deserte. La città diventa una sorta di cimitero, il campo di una battaglia combattuta durante la guerra fredda dell’amore. Vorrei mettere l’autotune ai pensieri, che seguono un’intonazione tutta loro. Massì, sto bene.

Sto portando a termine un disegno e sono già proiettato in un altro luogo, sfuggendo all’idea di un rimpianto per il tempo passato, perduto e certe volte sprecato. Metto insieme le idee, raccolgo un paio di note, qualche accordo e tante parole allontanate. Cerco l’armonia perfetta per la mia canzone, inseguendo una chimera distante da tutto.

La vita è storta, bellissima.

Trovare la persona giusta ma rendersi conto di essere quella sbagliata (2016)

Milano era bollente, ieri sera. Il solito asfalto vivo, che butta fuori calore come se sotto ci fosse l’inferno. Magari c’è.
Oggi fa ancora caldo ma senza sole e tra poco – fuori luogo per essere il 12 luglio – arriverà un acquazzone. Una tempesta tropicale, intensissima, luminosa, inappropriata. A volte il cielo della città sembra rispecchiare alla perfezione gli stati d’animo delle persone che la abitano. Rapidamente, cambiano le cose, passano le nuvole, tornano, se ne vanno di nuovo, la strada si asciuga. Rapidamente, così come cambiano le pretese – le persone – insieme alle loro integerrime convinzioni.

Sembra ieri, il 12 luglio del 2009. Seduto sul prato del cimitero di Westwood, a Los Angeles, contemplando la lapide di Minnie Riperton (agli esordi anche conosciuta come Andrea Davis). Una delle mie muse, con quella voce inarrivabile e quelle canzoni avvolte nel velluto tipo Inside My Love. Mi ritrovo in qualche fotografia, pensando a quanto non mi curassi di cose ora fondamentali. Ero giusto, giustamente sbagliavo.

Qual è la proporzione? Interlocutori differenti, scenari simili, relazioni analoghe. Si affina lo stile, si ama meglio. Un po’ meglio, ma non so quanto. Sicuramente non c’è una regola, e fare statistiche è impossibile. È bello ingentilire il proprio modo di amare. O quello degli altri, meraviglioso.
In testa un frullatore, i dubbi per le scelte fatte nell’epoca in cui giustamente si sbagliava, i sensi di colpa per i torti presumibilmente fatti e per quelli che potresti fare a qualcuno o qualcosa che ancora non c’è, o a te stesso. Rivaluti, soppesi, sopporti, sospendi, rileggi e poi basta.
Ho scritto sul muro alla sinistra del pianoforte smetti di essere chi sei e comincia a essere chi vuoi. Liberamente interpretabile, l’aforisma ha dato vita a critiche sparse. Retorico, banale, forse già sentito, ma reinterpretabile. Leggilo come ti piace di più. Fanne quello che vuoi. Se i problemi sono gli stessi di sempre, cambia tu.

Certe persone, alla fine ci prendono gusto, a essere infelici. Ammesso che lo siano davvero.

Sentimentalmente impotenti (trascurabili mancanze)

È davvero necessario avere qualcosa in comune con chi ci piace, per poter avviare una nuova relazione? Forse è più sensato pensare che ad avere qualcosa in comune tra loro debbano essere le persone che ci piacciono. Se fossero invece le mancanze a fare la differenza? Inestirpabile, l’ostinazione di chi continua a cercare le persone giuste nei luoghi sbagliati (o nei corpi sbagliati). Proviamo a prendere le distanze dal passato, ma poi ricadiamo negli errori di sempre, provando ad affiancarci a un’altra persona – giusta e sbagliata – esattamente come quelle che ci sono state prima. Siamo la somma delle nostre esperienze, successi e fallimenti. Ci piacciono le persone con le quali soffriamo solo per avere qualcuno cui dare la colpa?

Ci ho provato, mille volte e più, a cambiare rotta, ad aggiustare il tiro, a ridimensionare le richieste, senza mai scendere veramente a compromessi; perché la felicità è una sola e non è negoziabile. Con certe persone si genera una strana energia. Frizzante, inebriante, al tempo stesso evanescente. Se ne diventa dipendenti. Si baratta la lucidità per l’emozione. Innovativo sport estremo – ma già démodé – e alla portata di tutti.

Perché sentiamo la necessità di trovare un colpevole contro cui accanirci quando si tratta di esaminare le nostre relazioni? Temiamo un rimprovero? Un monito per le inadempienze? Non ci perdoniamo mai nulla, ma spesso in amore – così come non esistono vincitori e perdenti – non esistono colpevoli contro cui scagliarsi. Si rimane soli, con il tempo a fare da giudice, così inefficacemente neutrale e così inavvertitamente spietato.

Ad accomunare le persone sbagliate – puntualmente fuori luogo – c’è il loro essere inappropriate, il loro essere sentimentalmente impotenti.

E ci siamo noi.