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Pezzi di cuore tra i cuscini del divano (2)

“Apro gli occhi e le sue mani sono ancora sotto la mia maglia, le mie gambe adagiate sulle sue cosce. Le braccia attorno al collo. Una mano sfiora il viso ispido, mentre le labbra umide tremano, cercandosi. Un incontro. Poi la schiena contro il muro freddo. I piedi sollevati. Sul pavimento restano i vestiti. Quasi ovunque vedo pezzi del mio cuore: tra i cuscini del divano, sotto al mobile, tra i tasti del pianoforte, negli angoli in cui ho pianto”

L’eleganza dell’assenza

Chi non c’è, o meglio ancora chi non esiste, ci fornisce l’alibi perfetto per l’immobilità: del cuore, del corpo e dello spirito. Non possiamo pretendere di riuscire a trovare qualcuno fin quando continueremo a considerare “l’altro” come un’ancora di salvezza, elemento indispensabile per la felicità. L’errore è la visione strumentale del rapporto: grande amor proprio (o forse, un più semplicistico narcisismo) e poco amore per l’altra parte, destinata a essere non un fine ma bensì un mezzo, necessario per condurci a quella parvenza di serenità che altrimenti non sapremmo raggiungere.

È un’ovvietà, ma è così: è più difficile stare bene con se stessi che con qualcun altro. Se non sei sereno tu, come puoi impostare un rapporto a due (o a tre, o a quattro, o più universalmente con l’intera società che ci circonda) veramente sano? Non si può scaricare sulle persone con le quali stiamo l’impegnativa responsabilità del nostro “stare bene”.

La predilezione a rapportarsi con persone irrisolte, irraggiungibili o talvolta addirittura inesistenti (che potremmo anche far rientrare nel girone delle persone sbagliate) è un chiaro esempio del desiderio di sentirsi vivi. Se sei avvezzo alla sofferenza, è rassicurante trovartici in mezzo: ne conosci le dinamiche e muoverti in quel territorio costituisce qualcosa di spaventosamente familiare. Per questo molte persone -dopo essersi liberate di una situazione complessa- riescono a lasciarsi andare solo innanzi a un’altra situazione ancora più complessa e con una prospettiva decisamente poco rosea.

Settimana scorsa una persona mi ha detto: “tu non vuoi essere felice, altrimenti smetteresti di inseguire persone così problematiche e con le quali chiaramente non c’è futuro. Vuoi essere salvato e allo stesso tempo salvare, nell’illusione che chi ti piace possa improvvisamente cambiare grazie a te”. Il desiderio di onnipotenza è abbastanza lampante, e anche la ricerca di quella sofferenza che sa far sentire vivi più di ogni effimera felicità. Ho sempre chiamato tutto questo “fottutissimo romanticismo”.

Soli sì, ma con responsabilità.

Così, non rimane che la notte

Ogni tanto, quando la sera tardi mi ritrovo a guidare su strade semi deserte illuminate solo da qualche lampione solitario, mi capita di piangere. Mi piace pensare che le lacrime piante mentre si è in movimento verso un posto siano come astratte, appartenenti a un luogo e a un momento che non esiste. Fa bene piangere, perché le lacrime concimano i pensieri e fanno nascere le idee. Ci si deve reinventare a volte, ed essere abbastanza arrivisti da trasformare ciò che ci angoscia in ispirazione, per creare e rinnovare. Versi di canzoni, aforismi contorti, frasi articolate… quante cose sono nate al volante della mia auto; pensare che non mi è nemmeno mai piaciuto particolarmente guidare.

Il tema del viaggio è meraviglioso. Puoi anche avere una meta fisica, ma la testa se ne va sempre in qualche altra direzione inaspettata. Se sai scegliere la musica giusta, puoi anche condizionarli, i pensieri. Apprezzi nuovamente la solitudine, che riprende a profumare di indipendenza.

La cosa più giusta da fare (o non fare) non è mai la più facile. Ma quello che è giusto per qualcuno, può non esserlo per qualcun altro. Dovremmo essere più presuntuosi, fare chiarezza e cercare di stare bene noi, perché poi chi ci ama -se ci ama- capisce. Ci sono strade, deviazioni, alternative, ma non c’è confronto che si possa procrastinare, perché poi sul tragitto -prima o poi- te lo ritrovi.

Prendo lo svincolo per Milano. Odio questo percorso: il navigatore dice che per arrivare a casa ci vogliono quaranta minuti, ma la strada è talmente brutta da farti raddoppiare la percezione del tempo. Disegno con la testa i profili di coloro che ho avuto al mio fianco: qualcuno che farà sempre parte di me, qualche comparsa lasciva svanita con la sera, o magari un paio di occhi buoni fuggiti via senza biasimo con l’arrivo di Maggio.

È sempre tempo di bilanci, e smontare le proprie convinzioni è dura. Arrivare a una verità richiede fatica. L’amore e i sentimenti in generale sono assoluti. L’amore è uno solo, così come la morte. Non ha importanza chi tu sia o come declini la tua vita, non ha importanza il modo in cui dimostri, non hanno importanza le parole che usi, non ha nemmeno così tanta importanza la strada che percorri.

Ci sono ragionamenti che richiedono la presenza indispensabile delle lacrime. Le lacrime sono prime donne, vogliono il loro spazio, non condividono la scena con nessuno, per questo non amano il giorno. A volte per sentirsi liberi (anche di essere liberi) bisogna scappare dai limiti, che sono sempre unicamente il risultato delle nostre spaventate sentenze.

Così, non rimane che la notte.

Pensieri ad altra voce

Quando si parla di violenza il copione è più o meno sempre lo stesso: pare che la maggior parte delle vittime -crescendo- finisca per diventare sua volta carnefice, replicando le violenze e gli abusi subiti. Questo è quello che si dice, anche se in molti sostengono che si tratti soltanto di una percentuale, e che non sempre sia questa la regola. Mi domando se funzioni allo stesso modo in amore: possibile che le relazioni passate -quelle dolorose, e che in qualche modo ci hanno forgiato- restino in una sorta di DNA dei sentimenti? Se nella vita volgiamo lo sguardo avanti alla ricerca di una relazione di un certo tipo -che magari abbiamo visto da lontano, e alla quale ci ispiriamo- cosa può farci cambiare direzione se non la nostra stessa incapacità di conciliare chi eravamo, chi siamo, e chi vorremmo essere?

Non è sempre facile far quadrare i conti: i ragionieri dell’amore ci provano, ma i risultati sono scadenti. Va sempre a finire che uno poi in certe situazioni -chissà come mai- ci si ritrova, non facendo altro che perpetrare una sceneggiatura già vista. Poi ti senti improvvisamente cambiato, rinnovato, ma altro non hai fatto se non passare a un diverso ruolo all’interno però del medesimo copione: già visto, già sperimentato e già accantonato. Ci muoviamo come palline in un flipper, ed è facile arrivare alla conclusione che “se ancora continui a ricadere nei tranelli mentali di sempre, c’è qualcosa che ancora devi risolvere alla base”.  Ma se invece non ci fosse nulla da risolvere? Passiamo il tempo a cercare di cambiare noi stessi, facendoci mille problemi se le cose non vanno e imputando la colpa di tutto a qualche atteggiamento psicanaliticamente risalente a memorabili giorni che nemmeno riusciamo a ricordare lucidamente. Passare dall’altra parte, nel ruolo di quello che “mi piaci ma non abbastanza, e voglio cambiarti, affinché tu possa avvicinarti al mio ideale” non può essere una soluzione? Se non siamo degli sprovveduti, se due cose le abbiamo viste, se siamo cambiati, se siamo migliorati e se siamo cresciuti, perché non potrebbe fare anche qualcun altro questo per noi?

Non possono, una volta tanto, essere gli altri a cambiare per noi? Perché deve essere tutto difficile e carico di sofferenza quando si parla di relazioni e amore? Io mi sono stancato di fare il virtuoso, di essere quello dei grandi gesti, delle acrobazie sentimentali e tutto il resto.

Frequentiamo le persone sbagliate, per ricordarci che non sono quelle giuste

Esiste una strana legge secondo la quale “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”; ma siamo veramente certi che sia una cosa buona? Personalmente, ho bisogno di vedere. Sempre. Tendo a rivalutare le persone -in positivo- quando non le vedo. Il confine tra persone giuste e persone sbagliate, si fa sempre più sottile, quando -non vedendo e non frequentando qualcuno- restiamo in compagnia dei nostri soli pensieri. Può essere doloroso, ma frequentare le persone sbagliate a volte è indispensabile: ci ricordano che non saranno mai diverse, che non hanno intenzione di cambiare e che le persone sbagliate non diventano mai quelle giuste.

la sopravvivenza è dolorosa, ma tutto sommato con alcuni soggetti il legame è inscindibile. Pare quasi una questione ancestrale, karmica, o qualcosa del genere che tira in ballo paroloni ridondanti e carichi di inaccessibile spiritualità. Se siamo costretti a frequentare le persone che ci fanno star male -per non scordare che non potranno mai farci stare bene- quando possiamo trovare il tempo per andare alla ricerca di quelle giuste? Forse dovremmo aver imparato la lezione, e non dovremmo più essere schiavi di chi abbiamo amato.

La realtà più spietata potrebbe dipingerci come quelli che “non riesco ad andare avanti perché non voglio” o “mi guardo indietro perché indietro vorrei tornare” ma anche “la sofferenza mi fa sentire vivo”, ma detto in tutta onestà, credo si tratti di visioni utilitaristiche e troppo facili. Credo veramente che siano rimaste poche persone di spessore, capaci di stare al mondo e capaci di osare.

Il vecchio e sorpassato “vorrei ma non posso” lascia spazio a più moderni e farraginosi “potrei ma non voglio” o a più elaborati “potrei ma non posso” e “vorrei ma non voglio”, bouquet di parole che mettono in testa solo confusione poco produttiva. Un tempo alle persone importava poco dei ragionamenti del cuore; si viveva, si sperimentava, si soffriva e si tornava poi ad amare, intensamente. Oggi siamo tutti diventati modesti ragionieri dell’amore, concentrati su calcoli e percentuali di sofferenza e felicità, che nulla hanno a che vedere con la carica erotica e incontrollata che un tempo governava le relazioni tra le persone – sbagliate o giuste che fossero.