Trovare la persona giusta ma rendersi conto di essere quella sbagliata (2016)
di Andrea Devis
Milano era bollente, ieri sera. Il solito asfalto vivo, che butta fuori calore come se sotto ci fosse l’inferno. Magari c’è.
Oggi fa ancora caldo ma senza sole e tra poco – fuori luogo per essere il 12 luglio – arriverà un acquazzone. Una tempesta tropicale, intensissima, luminosa, inappropriata. A volte il cielo della città sembra rispecchiare alla perfezione gli stati d’animo delle persone che la abitano. Rapidamente, cambiano le cose, passano le nuvole, tornano, se ne vanno di nuovo, la strada si asciuga. Rapidamente, così come cambiano le pretese – le persone – insieme alle loro integerrime convinzioni.
Sembra ieri, il 12 luglio del 2009. Seduto sul prato del cimitero di Westwood, a Los Angeles, contemplando la lapide di Minnie Riperton (agli esordi anche conosciuta come Andrea Davis). Una delle mie muse, con quella voce inarrivabile e quelle canzoni avvolte nel velluto tipo Inside My Love. Mi ritrovo in qualche fotografia, pensando a quanto non mi curassi di cose ora fondamentali. Ero giusto, giustamente sbagliavo.
Qual è la proporzione? Interlocutori differenti, scenari simili, relazioni analoghe. Si affina lo stile, si ama meglio. Un po’ meglio, ma non so quanto. Sicuramente non c’è una regola, e fare statistiche è impossibile. È bello ingentilire il proprio modo di amare. O quello degli altri, meraviglioso.
In testa un frullatore, i dubbi per le scelte fatte nell’epoca in cui giustamente si sbagliava, i sensi di colpa per i torti presumibilmente fatti e per quelli che potresti fare a qualcuno o qualcosa che ancora non c’è, o a te stesso. Rivaluti, soppesi, sopporti, sospendi, rileggi e poi basta.
Ho scritto sul muro alla sinistra del pianoforte smetti di essere chi sei e comincia a essere chi vuoi. Liberamente interpretabile, l’aforisma ha dato vita a critiche sparse. Retorico, banale, forse già sentito, ma reinterpretabile. Leggilo come ti piace di più. Fanne quello che vuoi. Se i problemi sono gli stessi di sempre, cambia tu.
Certe persone, alla fine ci prendono gusto, a essere infelici. Ammesso che lo siano davvero.
ma perchè ti ostini a voler crescere? non c’entra con quello che hai scritto adesso ma, non so, leggendo e riportando alla memoria altre tue riflessioni (o forse solo lo stato d’animo che mi suscitano le tue riflessioni) mi è venuta in mente questa domanda
Sai che ti dico?
Hai ragione.
Ciao.. Ma chi sei?
Interessanti le tue riflessioni e le tue parole… Ma chi sei?
Ti ringrazio, Linda!
Chi sono? Mi pongo spesso la stessa domanda.
E ti sei dato anche qualche risposta ?!
Ciao Andrea. Ci conosciamo ma non ci conosciamo…
Ho abbracciato volentieri l’idea di seguire il tuo blog: “la tua seconda più sincera forma espressiva” (forse!)… 😉
Ciò perché risulta particolarmente stimolante – e forse più immediato – leggere qui i pensieri che sgorgano dalla tua interiorità, e inoltre perché mi piace l’idea di esprimere quello che percepisco riguardo alle sensazioni così profonde e significative che traduci in parole. La scrittura è un mezzo potente e – se usata con perizia – privilegiato!
Così sarà come aggiungere un pezzo di conoscenza…
Sono d’accordo con quello che hai scritto qui: è giusto ricordare, soppesare, rivalutare e distillare dai ricordi quanto ci può essere utile a interpretare meglio il percorso seguito negli anni.
Io non mi soffermerei tuttavia sul giudizio: dubbi, giusto, sbagliato, meglio, colpe, torti, e simili. Secondo me è più funzionale pensare che tutto ciò che accade – anche quando non piacevole o non ben interpretabile nell’immediato – ha un significato e una funzione formativa: ci dona elementi per la nostra crescita interiore. Se in passato “giustamente si sbagliava”, probabilmente è perché questo ci serviva per costruire il nostro essere di oggi. All’epoca abbiamo sicuramente fatto il meglio che era nelle nostre possibilità del momento. È tuttavia anche bello migliorarsi continuamente (ingentilire il modo di essere e di amare, curarsi di cose fondamentali, ecc…), e appunto le persone di qualità distillano il positivo da ciò che accade per tendere sempre a cose più alte.
Il tuo aforisma non è per nulla banale, e il fatto che forse non sia particolarmente innovativo non lo spoglia del suo significato profondo e della sua ricchezza di possibili interpretazioni.
A me piace avvicinarlo alla frase di Rabelais (in “Gargantua”): FAIS CE QUE TU VOUDRAS! Più che cambiare falsando la propria essenza per evitare i problemi di sempre, credo che la strada migliore e più funzionale sia quella di:
– conoscere sé stessi e capire davvero chi si è e cosa si vuole;
– volersi bene;
– lanciarsi per fare senza paura ciò che davvero si vuole;
– mai tradire la propria vera essenza profonda, tantomeno per accontentare gli “altri” e le consuetudini massificate, o per “risolvere” i problemi in realtà cercando solo di spingerli nell’oblio;
– rendersi conto che sommare gli stessi addendi non può che portare sempre al medesimo risultato, e quindi che se i problemi si rivelano sempre gli stessi e gli esiti sempre ugualmente insoddisfacenti, probabilmente dobbiamo cambiare qualcosa nelle nostre scelte e azioni. In particolare nei rapporti interpersonali.
Nessuno può essere felice se non è in linea con il vero sé stesso, e nessuno può prenderci gusto ad essere infelice: al massimo si può rassegnare o non avere la grinta e il coraggio per cambiare le cose, preferendo trovare scuse e sotterfugi di comodo. Non può esistere un peccato più esecrabile!