Non scambiare la solitudine per indipendenza e non diventare dipendenti dalla solitudine (2016)
di Andrea Devis
Ci sono giorni in cui, camminando per le vie del centro o seduto a sorseggiare caffè in un qualsiasi bar di Milano, mi sembra di riuscire a vedere solo loro: le coppie. Affiatate, innamorate, appassionate. Loro, ed io.
Al riparo da ogni patetico e pindarico volo romantico, mi gusto l’indipendenza: senza zucchero e costantemente bollente.
La solitudine non è una conquista, ma il risvolto di una medaglia vinta per coerenza con il proprio personaggio.
Il mio personaggio scrive canzoni (anocoluti musicali), scrive sognanti lettere d’amore a sconosciuti, scrive per una rivista indagando le più strane abitudini sessuali degli uomini, scrive sms troppo indecifrabili per essere definiti short, scrive sul blog e occasionalmente scrive anche sui muri.
Scrive.
Stavo raschiando il fondo del barile della mia non-storia con il Cinghia, perché anche se ormai era stato già detto tutto (ovviamente era bastato pochissimo) avevo voglia di scrivere. Resto sempre sorpreso quando partorisco brillanti cascate di parole partendo da avvenimenti che per lo più si verificano solamente nella mia testa.
Quasi infastidito dal continuo andirivieni delle reali o presunte coppie che sfacciatamente mi si palesavano davanti agli occhi senza alcun ritegno, ho mandato a fanculo l’idea dell’ennesimo lamento e ho preso un foglio bianco. Ho tracciato una linea e l’ho datata, anno per anno, dal 1984 ad oggi. È soprprendente vedere come le cose più importanti – pure e soprattutto quelle vissute in coppia – vengano in realtà percepite individualmente. Noi siamo uno.
E se l’indipendenza è per alcuni un vanto – uno scettro da mostrare, un certificato di proprietà della propria vita, il premio conseguito dopo anni trascorsi sopportando la stronza di turno scelta in tempi in cui tutto era diverso – per altri è solo solitudine. Diventa un atto protettivo, che allontana dalla realtà e costruisce altro. Casseforti a combinazione grandi abbastanza da contenere una vita. E se è troppo, si lascia fuori qualcosa, anche se generamente non si riesce mai a lasciare fuori quello che si vorrebbe. Su un’isola di Sant’Elena improvvisata un po’ dove si vuole, gli episodi con gli epiloghi drammaticamente inaspettati diventano gli argini dell’esilio. Ma che noia.
Compito dell’immaginazione è la redenzione della realtà diceva Dávila.
“Pensiamo che essere adulti significhi essere indipendenti e non aver bisogno di nessuno… ecco perché stiamo tutti morendo di solitudine” (L. Buscaglia). Ma “la solitudine è una pace inaccettabile. Una contenzione dei sentimenti per sembrare normali mentre si avverte il desiderio di esplodere, di esistere per qualcuno. E allora si può anche litigare, colpire e colpirsi, pur di non essere soli. Inutile per tutti. Inutile a se stesso” (Vittorino Andreoli).
Cercando aforismi sul tema della solitudine si trovano citazioni molto interessanti.
Chiudo con questa : “pensavo che la cosa peggiore nella vita fosse restare solo. No, non lo è. Ho scoperto invece che la cosa peggiore nella vita è quella di finire con persone che ti fanno sentire veramente solo”. (Robin Williams)
E’ forse per questo che preferiamo la solitudine? E’ per questo che preferiamo “rapporti” piuttosto che relazioni? PErchè la brevità di un rapporto non è quasi mai pericolosa (a patto di non innamorarsi) ?
Sono tutte citazioni valide, P.
Ma davvero preferiamo la solitudine? Forse è una tattica, un basso tentativo di auto-convincimento; perché troppo spesso la pigrizia ci rende attori, pronti a recitare la parte di quelli che “va bene così”…