Per un attimo mi sei sembrato tu
di Andrea Devis
Un metro e novanta o poco più, due spalle che rassicurano ma senza esagerare, un po’ di barba e un profilo che quasi sembra il tuo. Sì, per un attimo mi sei sembrato tu. Ma i miei occhi guardano attraverso il filtro di un’ossessione tutto meno che sana. Sto guarendo, dal pensiero di te. Oramai ho capito che le parole nascono semplicemente da un’esigenza, e si nascondono nell’immaginario, dove custodisco il disegno che ho tracciato ricalcando il modello che mi hai fornito.
Continuo a camminare sulla via di casa. Penso alle aspettative che vengono disattese ogni giorno: dal mondo, dagli altri, da noi stessi. Non è proprio il caso di fare i risentiti: forse avrebbe più senso aspirare all’elasticità della mente. Viviamo in un paese dove la mediocrità vince, e dove se sei “troppo”, sei destinato all’anonimato. Perché il troppo spaventa. Mi dicevi che ti avevo messo su di un piedistallo, e che per te ero troppo. Troppo intelligente, troppo seducente, troppo romantico, troppo capace nel soddisfare i bisogni dell’intelletto e quelli più carnali del corpo, con naturalezza esemplare. In un’epoca di virilità posticcia fatta di vistosi tatuaggi, barbe folte e camicie a quadri abbinate a pantaloni arrotolati sulla caviglia, mi sentivo meravigliosamente fuori moda, con te.
La paura è quella di ritrovarsi soli, incastrati tra epoche che passano, sentendosi obsoleti per un mondo che non si smette di pretendere diverso da come è. C’è voluto un po’ per imparare ad arginare la sensibilità, e per mettere un freno all’empatia. Con tutta la voglia che ho di ascoltare e capire gli altri, a volte finisco per assorbire la loro sofferenza. Bisogna maturare, ed essere intelligenti quanto basta per capire che tutti parlano, ma sono pochi quelli che hanno anche voglia di ascoltare. E sono pochissimi quelli che sanno capire.
Mi piacerebbe trovare qualcuno capace di smascherarmi, che senza paura mi costringesse a svelare ciò che nascondo nel cono d’ombra. Per svelarmi agli altri, e un po’ anche a me stesso.
Hai scritto una cosa che mi piace moltissimo.
Ne sono felice! Grazie 🙂
Ti leggo e spesso mi ritrovo nelle tue parole, cose che avrei potuto scrivere io. Questa cosa dell’essere “troppo” la sto sperimentando da diverso tempo sulla mia pelle e fa abbastanza male.
Già. È fonte di dolore, ma soprattutto rappresenta il logorante dubbio che mi perseguita da tempo: e se fosse invece una semplice presa per il culo?
Poi, scuoto la testa e mi dico che no, non è possibile.
Complimenti per quello che hai scritto. L’ultima frase mi ha inchiodato alla sedia.
Grazie!
Mi sembra sottesa la necessità del trovarsi attraverso gli altri, scoprire nuovi pezzi di sé, dare luogo ad armonie inedite. Mi sembra che non sia il luogo (il paese, come dici, il mondo?) o più che altro il tempo adatto a chi non vuole screditare questa necessità. E lo smarrimento, che porta a ricercare i tratti noti, quelli che facevano almeno un po’ bene, quello lo riconosco. Ti abbraccio.
Grazie per le tue parole, HappyAladdin!
L’ultima frase è significativa perchè molte volte siamo dei misteri anche per noi stessi. Ciao 🙂
…lo siamo quasi sempre, Emilio!
Grazie per la visita