Amori fin(i)ti

di Andrea Devis

Ci si concentra sempre su quando nasce un amore (per citare la Oxa), ma quando un amore finisce? Nessuno che racconti di quanto sia difficile sopravvivere allo sbriciolamento di sé stessi. In molti parlano e scrivono della difficoltà che si trova nel ricostituire la propria immagine -e talvolta la propria dignità- ma in pochi descrivono la spiazzante percezione del vuoto sotto ai piedi. Forse perché è come l’impalpabile sensazione di cadere nel vuoto che può sorprenderci nel sonno, ma con effetti prolungati oltre la semplice durata di un sogno sgradevole. Chi ha voglia di mettere nero su bianco il proprio terrore? Significherebbe forse dargli una forma, confermandone così la tangibile esistenza e gli effetti che ha avuto su di noi, cambiandoci per sempre? È inutile cercare di dimenticare, utilissimo provare a imparare. Abbiamo la certezza che il passato non si ripeterà, e guardare avanti, razionalizzando e trattenendo il meglio, può essere una soluzione.

Scrivo di relazioni, uomini, donne, guerre, pensieri, aspirazioni, sogni e altro, ma quando si trattano argomenti così delicati e personali, è difficile dare una forma universalmente riconoscibile a delle parole che riempiono uno schermo retro illuminato. Io articolo le sensazioni che vivo, e capita che qualcuno ci si riconosca (perché non siamo poi così diversi) ma la nostra unicità -che è poi anche il motivo che mi spinge a voler conoscere e capire le persone- è la diversa connotazione che diamo alle cose: ciò che per qualcuno è coinvolgente, per qualcun altro non lo è affatto, e ciò che per qualcuno è perplessità, per qualcun altro è chiarezza. Inizio però a pensare che -al di là delle sue molteplici manifestazioni- il dolore resti uno solo, ed è spietatamente uguale per tutti.