I 40 sono i nuovi 20, i 20 sono i nuovi 30, i 30 sono i 30 e basta.

di Andrea Devis

Alla fine, tutti vogliono i ventenni; ma i ventenni delle prime annate, quelli che come seconda cifra sfoggiano al massimo un tre o un quattro. Io lo sono stato -di recente- un ventenne di quel tipo, ma tra un paio di anni o poco più me ne tirerò fuori definitivamente. Non che non mi ci trovi bene -anzi- ma guardandomi in giro, trovo gente che mi dà del vero filo da torcere.

Vi odio tutti, nuovi ventenni. Voi, con il vostro metro e ottanta di media, con le spalle larghe e la faccia pulita. Forse non competo, ma ho sempre un mio mercato. Però come mi diceva qualcuno, arriva un momento nella vita in cui la bella faccina lascia posto ad altro; e se questo “altro” non te lo sei solidamente costruito, ti resta ben poco. Devi competere con la parola, con i modi, con i gesti e con la capacità di entrate rapidamente in empatia. Purtroppo a molti basta meno, molto meno, e la seduzione si riduce tutta alla scoperta delle fantomatiche cifre che compongono l’anno di nascita.

Il confronto e la condivisione interessano a pochi. La tentazione di cedere al proprio desiderio di potenza, è appagata dagli occhi di un ventenne che si sorprende e illude innanzi a parole sapientemente articolate, anticipazione di un mondo apparentemente ideale al quale aspirare. È la tabula rasa che attizza. La possibilità di scrivere, la possibilità di forgiare, di dare, senza l’impegno di doversi adattare o di doversi ammorbidire alla personalità dell’altro. Un’estensione di sé stessi, forgiata a propria immagine e somiglianza, nella quale riflettersi compiaciuti e alla quale dare amore nella misura in cui non riusciamo a darlo a noi stessi, ma con il privilegio di sentirsi rispettosi del proprio “IO”.

Ma poi è tutta una farsa, perché sappiamo che il mondo è ideale quando sei tu a costruirtelo a immagine e somiglianza di quello che vuoi essere. Bisogna però sapere chi si vuole essere. Non lo sai a vent’anni ma probabilmente, nemmeno a trenta.