Non ci si innamora più, a Milano
di Andrea Devis
Sembra che ormai a Milano nessuno voglia più innamorarsi. È come una sorta di dilagante nevrosi collettiva, che mi ha portato a pensare all’innamoramento come a uno di quegli sgradevoli compiti che si preferisce lasciare agli immigrati stranieri: raccogliere i sacchi dell’immondizia, saldare pesanti tubi nelle fabbriche, spalare la merda dalle strade e via dicendo. Sì, l’amore lo si trova nello stesso reparto della merda, a Milano.
Cerco l’amore intorno a me e lo trovo sono in coppie di signori anziani che sul tram si tengono ancora per mano: è gente appartenuta a una Milano che non c’è più. Oggi il bistrattato sentimento resta invece in mano a giovani filippine, che su quegli stessi tram vivono l’emozione di un messaggio scritto in gran velocità su telefoni affollati da ciondolini colorati.
Tra le stradine di Brera gli artisti filosofeggiano non offrendo altro che indecisione, nei bar del centro giovani professionisti pranzano senza accorgersi delle persone sedute ai tavoli vicini, e nei pochi ritagli di verde tra via Larga e piazza Santo Stefano -chi ancora si ricorda dell’amore- pensa a mettere in scena la prevedibilità dalla quale noi altri fuggiamo. In via Victor Hugo guardo per terra alla ricerca di un’epoca riesumata solo per le cartoline in bianco e nero vendute nei chioschi di Souvenir. Cerco oltre l’appiccicosa gomma nera regolarmente colata nelle fughe delle mattonelle del pavé, ma gli strati sono ormai troppi e il terreno fertile pare inghiottito dal tempo.
Mentre passeggiavo tra via della Spiga e via San’t Andrea, perso nel ricordo di quel paio di Dior taglia 27 che calzavano a pennello sulle mie gambe ma un po’ meno sulla mia carta di credito, mi sono accorto dell’imperante maleducazione della gente. A cosa serve comprare un costoso paio di Church’s blu quando non puoi camminare per strada senza che nessuno ti schiacci i piedi? Le persone non sanno guardarsi i piedi e non sanno guardare quelli degli altri. Mi stupisce che le persone non vogliano amare, ma vedere le persone riluttanti all’idea di lasciarsi amare, mi scandalizza.
Odio i mariti che si lamentano delle mogli alimentando il giocoso ma raccapricciante stereotipo italiano. Odio chi si alza lamentoso il lunedì perché andrà a fare qualcosa che per sua scelta non ama. Odio chi vive passivamente in attesa di qualcosa (week-end, vacanze, fine del mondo, etc.). Odio chi è sempre pronto a ricordarti che la vita è dolore, sopportazione, fatica e basta. Odio chi crede che la propria esperienza sia la norma.
Amare è a volte anche questo, nell’amara, amorevole, Milano.
Ciao Andrea, complimenti per questi pensieri… a me mi piace osservare le copie anziani, che si prendano per le mani, poi il tenero baccio sulla bocca.. Mi domando siamo anche noi cosi quando diventiamo vechietti.. Anche qui a Verona l’amore e un pò scomparso.. ma sopratutto l’amore fra l’umanità non esiste proprio.. chi sa perchè.. ti auguro una serena giornata Pif
Ps: Io mi lamento mai, provo sempre da ogni cosa a tirare il meglio fuori 😉
Grazie a te per il tuo commento!
Faccio spesso riflessioni simili, ultimamente, soprattutto riguardo la sgradevolezza e l’aridità di molta della gente che si incontra, la passività: se non ci si entusiasma per niente come si può amare ed essere amati?
Credo sia impossibile. Credo.
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
La tecnica grisaille di amore è molto significativa perché già ha fatto la sua parte dell’umanità c’è molta nostalgia, restanno ai giovane continuare la loro propria parte che è sempre più diversa, più divertente, ogni epoca c’è non solo un ritmo, ma anche un instrumento diverso per suonare il amore. COMPLIMENTI! SEMPRE BRAVISSSIMO.
Credo di aver capito quello che vuoi dire, e certamente per ogni epoca esiste un amore diverso per quante sono le persone. Anche se sono sicuro che certe cose non cambino mai, in realtà.
Grazie per tutto!
Certe cose non cambino e non possono cambiare, giusto giusto per fare l’umanità.
E’ che proprio lo stereotipo di questa società ci invoglia ad essere così.
Meglio seguire la massa che essere se stessi.
E poi io sono un contestatore nato, a me piace vivere la mia normalità monotona…
Il lusso è proprio questo: avere una “normalità monotona” che appaghi, che renda sereni, vivi e fieri. Mi piace chiamarla “straordinaria normalità” e forse, è proprio quello che a molti di noi -me per primo- servirebbe in questo momento.