Recidivismi Relativi Recisi

di Andrea Devis

Cadono le foglie, finalmente. Si puliscono giardini e si tagliano rami secchi.

Tra qualche mese un timido raggio di sole farà la sua comparsa, e noi, pronti a sorprenderci, saremo in prima fila ad assistere alla nascita dei nuovi boccioli: tremendamente somiglianti a quelli dell’anno prima, che a loro volta ricordavano in maniera impressionante quelli dell’anno prima ancora e così via, in un perverso meccanismo nel quale ormai ci si rinnova consolidando uno schema fin troppo prevedibile.

È inutile recidere, tanto non si cambia quasi mai, e quando succede certamente non dipende solo da noi. La verità sta nel mezzo; ma nel mezzo di che cosa? Forse dell’oceano Indiano? Nel mezzo di una irraggiungibile crosta terrestre? O magari nel mezzo -di trasporto- con il quale latitiamo tra le relazioni? Potrebbe anche trattarsi di un imperdonabile errore di forma. Se la verità stesse quindi nel mazzo? Nel mazzo di cazzate che a fasi alterne ci ripetiamo, tipo: “sono una persona nuova”, “ho imparato dai miei errori”, “ho smesso di farmi del male”? Tanto poi siamo noi i primi a non crederci e ad avere la consapevolezza dell’esistenza concreta delle ricadute.

A ognuno il suo: chi ha il debole per il caso umano, chi per la nevrotica esaurita, chi per il morto di fame, chi per la bella stronza e chi per il bello e impossibile con gli occhi neri e quel sapor medio-orientale.

Rassegniamoci al recidivismo relativo senza illuderci che recidendo -al primo timido raggio di sole- lo stelo di una margherita possa partorire rose rosse: inaspettatamente sorprendenti e rigorosamente senza spine.